Da Roma guerriglieri in «trasferta»...





Ecco i fan della Jihad cresciuti nel nostro Paese e finiti a combattere in Siria. Alcuni hanno partecipato alla fucilazione di 12 soldati governativi nel 2013


Vivono e lavorano in Italia da anni, alcuni di loro godono anche della cittadinanza, ma in testa hanno solo la jihad e per questo vanno in Siria a combattere contro il regime di Bashar al-Assad. Poi ritornano nel nostro Paese e da qui, dove conducono una vita apparentemente normale, continuano a sostenere la rivolta in nome del Corano. Sui social network e in rete pubblicano foto e video delle «missioni» nel loro paese d'origine. Sui profili Facebook immagini che li ritraggono con fucili in mano e frasi in arabo che inneggiano alla guerra: «Siamo andati al Jihad per amore di Allah», si legge accanto ad una foto di A.B., scattata in Siria con un fucile in mano. E poi ci sono le rivendicazioni delle attività condotte anche nel nostro Paese, come quella avvenuta la notte del 10 febbraio a Roma, quando un gruppo di 12 persone ha assaltato l'ambasciata di Damasco, in piazza dell'Ara Coeli, con l'obiettivo di sostituire la bandiera.
Sono i combattenti siriani jihadisti, arrivati ancora prima dello scoppio della Primavera araba, che fanno parte del tessuto sociale ed economico italiano. In realtà, però, non hanno mai lasciato definitivamente la loro patria e, in nome di Allah, vanno e vengono dalla Siria per affiancarsi ai rivoltosi. In testa, però, hanno in mente il Califfato e combattono perchè in Siria sia ricostituito. A.B e H.S. vivono a Milano, ma questo non gli ha impedito di partecipare all'assalto dell'ambasciata a Roma il 10 febbraio 2012. In quell'occasione, durante la notte, un gruppo composto da 12 persone ha fatto irruzione nell'edificio con l'intento di sostituire la bandiera. In un video H.S., anche lui partito e tornato dalla Siria con tanto di foto che documentano le sue azioni, dopo l'arresto ha spiegato: «Abbiamo deciso di andare per rimuovere la bandiera simbolo degli assassini, la bandiera che rappresenta questi stessi assassini, per innalzare al suo posto la bandiera della libertà, l'emblema della rivolta siriana». In quella circostanza furono arrestate 12 persone che danneggiarono anche parte dell’arredamento e alcuni quadri raffigurati l’attuale presidente Bashar al Assad e il suo predecessore Hafez. Ma H.S. è anche il protagonista di alcune foto che lo ritraggono mentre, armi in mano, giustizia un gruppo di soldati siriani. Sotto l'immagine postata su Facebook, e che ritrae i due uomini con i fucili, in un commento si legge: «Miei fratelli in terre straniere: A. meraviglioso signore, H. mascolinità e serenità». In altre foto della «missione» compare la data di giugno e agosto 2012, subito dopo l'assalto all'ambasciata. Il gruppo di siriani, di cui fanno parte anche altri esponenti che vivono soprattutto tra Roma e Milano, è partito alla volta di Aleppo in estate. Dopo aver combattuto a fianco degli jihadisti per alcuni mesi hanno fatto ritorno in Italia. Qui, come sempre, hanno ripreso le loro attività lavorative. A.B e H.S. sono commercianti. Nel frattempo, però, partecipano a manifestazioni di piazza e organizzano eventi contro il regime di Assad. Dopo il primo viaggio in Siria, non è ancora chiaro infatti se dopo il 2012 sono ancora tornati in patria, il profilo Facebook di H.S è stato cancellato. Le immagini in cui l’uomo, assieme ad altri, puntava la pistola contro un gruppo di persone nude e con la faccia per terra, ha creato scalpore. La notizia dei sette ribelli, che in un filmato si vedono mentre sparano alla schiena di sette soldati nudi inginocchiati con la testa al suolo, è stata proposta dal sito del New York Times già nel settembre 2013. In quella circostanza i sette si trovavano in un posto non meglio identificato della Siria, e tra questi c'era anche H.S., che come nome di battaglia avrebbe scelto Abu Omar.
Armi, guerra e sangue sono il loro credo. Non hanno paura di pubblicizzare le loro azioni perche questo, agli occhi dei seguaci, li rendono eroi. Attraverso le moschee, la predicazione e il successivo reclutamento effettuati tramite interpretazioni coraniche ad uso e consumo di chi ha ricevuto l’incarico di essere interprete di «interessi superiori», gli imam auto-proclamatisi tali rivestono, infatti, il compito di recuperare numerosi delinquenti comuni per devolvere i loro sforzi alla causa della jihad. I due soggetti in questione, però, in parte esulano dal contesto delinquenziale e si affacciano alla guerra come ferventi credenti esuli dalla patria. La presenza in Italia di numerosi centri semi clandestini di preghiera e sostentamento alla causa jihadista, è nota. Tra le immagini che circolano in rete in molti casi appaiono soggetti già noti in Italia per loro attività. Le loro posizioni, però, talvolta sfuggono ad un coinvolgimento giudiziario nel nostro paese. H.S e A.B. sono, inoltre, sono solo la punta dell'iceberg. Nel sottosuolo dell'estremismo di matrice confessionale orbitano molte persone che appoggiano la rivolta in Siria. La volontà di questi gruppi è quella di instaurare un Califfato islamico integralista, che vada a sostituire il regime di Assad e che possa avere predominio sul Medioriente. La Primavera araba, infatti, ha dato il via libera ad un avvento della predominanza di maggioranze estremiste in tutto il bacino del mediterraneo, portando a ruoli di potere organizzazioni e soggetti legali all'integralismo islamico.
Francesca Musacchio
(Il Tempo.it)

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