Tra le donne siriane: "Aiutateci, siamo sole"...





Migliaia di donne siriane crescono i loro figli da sole: i mariti sono morti o rimasti in Siria. La loro prima preoccupazione: l'istruzione per i figli

di Emma FarnèIrbid (Giordania)

Quarant'anni e cinque figli, una delle madri di Zaatari non dice il suo nome perché suo marito è ancora in Siria. Ma racconta la sua storia. "A Damasco ho lasciato un figlio e mio marito: la strada per arrivare qui era completamente arida, in mezzo al nulla. Avevo paura che fosse troppo dura. Che li rapisssero, o che li arrestassero per poi arruolarli nell'esercito". Il viaggio fino a Zaatari? "Le mie figlie piangevano tutto il tempo".  La signora di Damasco vive in un container. Un materasso per dormire, ogni giorno più viaggi sotto al sole, a piedi, per portare l'acqua in casa. Ne servono 35 litri al giorno, dicono le autorità del campo. Lei, quei 35 litri se li carica sulla schiena da oltre un anno. Ma nei suoi occhi c'è fierezza, nessuna autocompassione. Nella sua testa, le idee chiare. "Sono stanca di raccontare la mia storia ai giornalisti. Non cambia mai niente. Io voglio far studiare mia figlia maggiore all'università in Europa, in Francia, in Italia. Mi puoi aiutare?". Desiderio non scontato, visto che Siria e Giordania sono Paesi conservatori dove spesso le madri sono casalinghe e i matrimoni avvengono poco dopo la fine dell'adolescenza. Come lei, ci sono migliaia di altre donne siriane che vivono nel campo profughi giordano di Zaatari. In molte, arrivano in Giordania con due, tre figli e senza il marito, lasciato al di là del confine. Li crescono da sole, nella miseria delle tende e dei container. "Non posso più esaudire i loro desideri. La maggiore mi chiede sempre del padre. In Siria li vedevo crescere felici, ora mi accusano di essere andata via da Damasco. Ma lì era troppo pericoloso. Ora, come posso garantire loro un futuro?".   Ha la stessa preoccupazione la madre di Mohammad, così si fa chiamare una signora di Dera'a. Vive a Ramtha, vicino al confine siriano in un piccolo appartamento. "Siamo venuti qui perché la mia città è stata distrutta dalle bombe. Siamo arrivati a Zaatari, io, mio marito e le mie figlie". Dopo, il pellegrinaggio tra parenti, amici, per finire in un piccolo appartamento dall'affitto troppo alto, caso comune per i profughi siriani in Giordania, dove i proprietari hanno aumentato i prezzi delle case dopo il loro arrivo. "La scuola per mia figlia però è troppo lontana, ma come posso pagarne un'altra, privata e più vicina a casa, se i soldi che ho mi bastano solo per mangiare?". I soldi, quelli arrivano dagli aiuti umanitari. Unicef per la scuola dei bambini, Unchr per le piccole spese e i documenti, aiuti pagati con i fondi della Commissione Europea. Non permettono certo la sopravvivenza per oltre un anno. La donna, come molte altre, vive in un limbo. In Giordania il marito non può lavorare, perché il Paese non riconosce la convenzione per i rifugiati: i siriani quindi non possono vivere in regola. In Siria non si può tornare. Dera'a è vicina, talmente vicina che di notte si sentono i colpi di mortaio. Ma la famiglia di origine non può varcare il confine. "In Siria mio fratello e mio padre vivono nelle tende", racconta la signora di Dera'a. "Ma qui non ci verranno. La vita costa troppo".

(Rai News)

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