IRAQ. Isis verso Baghdad, Usa: aperti a tutte le opzioni...





Jihadisti alle porte della capitale. Al Sistani agli iracheni: imbracciate le armi. Arrivano notizie di stragi di civili ed esecuzioni sommarie. La Casa Bianca è pronta a intervento militare, ma è escluso l’invio di truppe di terra

Immagine Bbc
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della redazione
AGGIORNAMENTO 15.20 –  Il conflitto è arrivato alla porte di Baghdad. Mentre si combatte a Baquba, a una sessantina di chilometri a nord della capitale, la massima autorità sciita del Paese, Ali al-Sistani, ha chiamato gli iracheni alle armi per fermare l’avanzata dei miliziani dell’Isis. L’appello del Grande Ayatollah è arrivato durante la preghiera del venerdì. Con una fatwa ha esortato chiunque “sia in grado di farlo a imbracciare le armi per difendere la patria”, una difesa “sacra” dell’Iraq perché il “terrorismo è lontano dallo spirito dell’islam”.
Il chierico avevo già espresso i suoi timori per gli sviluppi dello scontro nella provincia settentrionale di Niniveh e il mese scorso era finito nel mirino degli islamisti che lo hanno minacciato di morte se non avesse lasciato l’Iraq.
Intanto, Washington ha spostato i cittadini statunitensi dalla base di Balad, uno dei maggiori centri di addestramento del Paese. Per il momento resta invariato lo lo status dello staff dell’ambasciata americana a Baghdad. Nena News
AGGIORNAMENTO ORE 10.40: Le truppe irachene si sono scontrate con i miliziani dell’Isis nei pressi della città di Baquba, 60 chilometri a nord di Baghdad. Baquba è la capitale della provincia di Diyala e i jihadisti hanno già conquistato due capitali provinciali nella loro avanzata verso Baghdad, iniziata lunedì scontro con la presa di Mosul, seguita da quella di Tikrit.
Secondo quanto riferito dal vicegovernatore di Diyala, Furat al-Tamimi, le milizie curde avrebbero preso il controllo dei distretti di Saadiyah e Jalawla dopo il ritiro dei militari iracheni che stanno abbandonando in gran numero posti di blocco e basi. I comandanti giovedì sera avevano detto che i due distretti erano nelle mani dei jihadisti. Intanto i curdi si inseriscono nel caos provocato dalla massiccia offensiva degli islamisti e hanno preso il controllo di ampie zone di territorio conteso, inclusa Kirkuk, la città considerata capitale storica dei curdi che Baghdad ha escluso dalla regione curda autonoma.
Roma, 13 giugno 2014, Nena News – Prosegue l’avanzata dei jihadisti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) verso Baghdad con il suo carico di sfollati (mezzo milione di persone), morti, rapimenti, stupri e devastazioni. Secondo le autorità, i miliziani sarebbero a una settantina di chilometri dalla capitale, avrebbero occupato due distretti della provincia di Diyala, quelli di Jalawla e di Saadiyah, e hanno lanciato un appello ad unirsi alla battaglia contro il governo iracheno, a guida sciita, e il suo premier,Nouri al Maliki, definito un “incompetente”.
Gli Stati Uniti sono pronti a intervenire, ma il presidente Obama ha sinora escluso l’invio di truppe di terra. “L’Iraq avrà bisogno di altra assistenza”, ha detto il capo della Casa Bianca, “prenderemo provvedimenti e tutte le opzioni sono aperte”. E l’opzione sul tavolo è l’impiego di droni, un tipo di intervento simile a quello in atto in Yemen contro al Qaeda nella Penisola Arabica. Le autorità di Baghdad sono disposte a consentire agli Usa di lanciare raid con droni contro le basi dell’Isis che in due giorni ha conquistato tutta la fascia settentrionale del Paese. Anche Teheran ha offerto sostegno a Baghdad, senza però specificare che tipo di aiuto, ma testimoni parlano di Guardie della Rivoluzione iraniane già in Iraq a combattere i terroristi sunniti. Mentre Damasco punta il dito contro le petromonarchie del Golfo che, secondo il governo siriano, foraggiano i jihadisti che combattono in Siria contro le truppe fedeli ad Assad, e ha parlato di “cooperazione immediata” con gli iracheni contro i “terroristi”.
L’obiettivo del gruppo di stampo jihadista, fuoriuscito da al Qaeda, non è soltanto l’Iraq, ma riguarda un’intera regione e comprende la vicina Siria: creare un califfato sunnita, tra Iraq e Siria, dove la Sharia sia l’unica fonte del diritto. E la porose frontiere tra i due Paesi hanno favorito il progetto, con il continuo scambio di miliziani e armi, consentendo all’Isis di occupare all’inizio dell’anno buona parte della provincia dell’Anbar.
La fulminea e ben organizzata offensiva degli ultimi giorni è stata favorita anche dalla fuga di esercito e polizia, una diserzione in massa che ha messo in luce le carenze delle forze di sicurezza irachene e l’incapacità del governo a gestirle. Uno Stato, quello iracheno, che non ha il controllo del territorio e dove le rivalità religiose (tra sciiti al potere e sunniti marginalizzati) sono state anteposte agli interessi nazionali. Ieri il Parlamento non è riuscito neanche a votare lo stato di emergenza per l’assenza della maggioranza dei deputati: di sono presentati soltanto in 128 su 325.
La capitale è nel caos e il governo fatica a reagire all’offensiva dei jihadisti. L’aviazione irachena ha bombardato le postazioni dell’Isis a Mosul , conquistata pochi giorni fa, mentre si ha notizia del sequestro di centinaia di poliziotti e soldati a Tikrit, la città natale di Saddam Hussein. La città petrolifera di Kirkuk è stata riconquistata dai guerriglieri peshmerga curdi, che si sono anche impossessati dei veicoli da combattimento abbandonati dai soldati. Kirkuk è appena fuori dai confini della regione autonoma curda ed è considerata la capitale storica dei curdi e il caos potrebbe riaccendere aspirazioni territoriali mai sopite. Intanto, il prezzo del greggio è schizzato ai massimi da un anno, sopra i 106 dollari al barile, penalizando il settore aereo in Borsa.
Il caos in cui è piombato l’Iraq negli ultimi giorni, dopo mesi di aspri combattimenti nell’Anbar e due anni di attentati quotidiani e di scontri settari (tra gli sciiti saliti al potere dopo la caduta di Saddam Hussein e i sunniti che lamentano vessazioni e discriminazioni) sta facendo saltare i fragili equilibri su cui si tiene il Paese dopo l’invasione statunitense del 2003. Un equilibrio che tanti temevano non avrebbe retto a lungo: gli Usa hanno lasciato il Paese nelle mani del governo di Maliki, al suo terzo mandato, che è stato impegnato più a tenere a bada le istanze della comunità sunnita, estromessa con forza dall’amministrazione e dal potere, che a promuovere lo sviluppo economico e sociale del Paese e un processo di conciliazione tra le varie anime, etniche e religiose, che ne compongono la sua società.
Intanto la popolazione fugge sotto la minaccia dell’avanza dell’Isis. Mezzo milione di persone sono scappate da Mosul, tutte verso la regione autonoma curda. Gli sfollati raccontano le violenze, i rapimenti, le sparizioni. Nelle mani dei jihadisti restano 50 ostaggi turchi catturati nel corso dell’attacco al consolato turco di  Mosul. Ankara ha annunciato “rappresaglie durissime”. Oggi si riunisce il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Nena News

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