Libia, dalle rivolte alla controrivoluzione: far west senza fine...





Golpisti contro islamisti. E paramilitari all'assalto del governo. A chi giova la crisi post Gheddafi? Milizie arrivate a Tripoli.

di Barbara Ciolli

Tutto si riduce sbrigativamente a uno scontro tra blocchi contrapposti: i restauratori della sicurezza da una parte, i combattenti estremisti dall'altra.
Come nel 2013 in Egitto, per salvare la Libia dalla deriva sembra necessario andare contro il governo, costretto ormai a proteggersi con gli islamisti. Anche le potenze occidentali sono pronte, in nome della stabilità della regione, ad appoggiare il ritorno allo status quo.
STRATEGIA DELLA TENSIONE. Si tralascia quasi sempre dalle cronache che - in Libia come in Egitto e in misura minore anche nella Tunisia che resiste - sono le vecchie forze reazionarie, non gli esecutivi in carica democraticamente votati, ad aver tratto il massimo vantaggio dalle spaccature nell'Islam e dal proliferare di gruppi armati fondamentalisti.
Salafiti, affiliati qaedisti, bande di criminali che poco o nulla hanno a che fare con gli elettori dei partiti vicini alla Fratellanza musulmana, nati o rifondati durante la Primavera araba sul modello turco dell'Akp (Giustizia e sviluppo) e finanziati dal Qatar.
COSTITUENTE BLOCCATA. A colpi di attentati, esecuzioni terroristiche, bombe e assalti reiterati alle istituzioni, questa strategia della tensione ha innescato un processo di controrivoluzione.
La crisi politica blocca, infatti, la stesura del testo costituzionale della Costituente eletta dal popolo, che difficilmente riuscirà vedere la luce prima delle legislative anticipate al 25 giugno.
Ma la questione, spiegano gli esperti, oltre che politica è economica: con un golpe più o meno soft, tra l'altro, salterà anche la Commissione governativa incaricata, dal 2013, di redigere la nuova legge sul petrolio.

Dalla Primavera araba alla restaurazione: il ritorno dei generali

Niente si sa sui finanziatori del vecchiogenerale Khalifa Haftar, fedelissimo di Muammar Gheddafi ai tempi del golpe del 1979, poi disconosciuto per una congiura, infine rimpatriato con grandi ambizioni, dopo 20 anni di esilio negli Usa, per capitanare le rivolte del 2011.
Già a febbraio, il colonnello che ha messo a ferro e fuoco Tripoli e Bengasi, trascinando parte dell'aviazione regolare nelle sue «milizie aeree» e assaltando con blindati il parlamento (traslocato in un hotel), aveva annunciato sul web un colpo di Stato per «salvare la nazione» dagli estremisti islamici.
DA GHEDDAFI AGLI USA. Prima ancora, nella guerra al raìs, i ribelli del Consiglio nazionale di transizione (Cns) lo avevano estromesso dai ruoli di comando, perché ritenuto inaffidabile e circondato da ex ufficiali fedelissimi di Gheddafi.
Ora il governo ad interim di Abdullah al Thani, premier dimissionario di un Paese senza Stato, rinfaccia ad Haftar «connivenze con la Cia in una rivolta contro Gheddafi fallita 25 anni fa». E il blocco dei Fratelli musulmani in parlamento lo dipinge come «un anti-rivoluzionario, alleato con quello che rimane delle forze del raìs».
Per i gruppi jihadisti della Cirenaica, dove è più forte la ripresa dell'estremismo islamico, l'ex generale è l'esecutore di un piano organizzato, sostenuto dagli «elicotteri egiziani» e non dai disertori delle forze libiche regolari.
TRA ESTREMISMO E REGIMI. Di certo, in Egitto il presidente in pectore Abdel Fattah al Sisi (si vota il 26 e il 27 maggio) all'indomani del golpe ha ricevuto dall'Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi e dal Kuwait un'iniezione di petrodollari (circa 13 miliardi nel 2013). Provvidenziale per dare agli egiziani la parvenza di una ripresa dalla crisi economica.
«C'è grande confusione e ansia tra la popolazione», racconta a Lettera43.it Karim Mezran, accademico italo-libico del Middle East Policy Council di Washington e dell'Institute of Global Studies (Igs) di Roma, «io stesso riesco a malapena a ricevere notizie attendibili dal Paese. In tutto il Nord Africa è in atto un percorso di controrivoluzione che porta alla polarizzazione tra gruppi islamisti e personaggi antidemocratici come Haftar. Entrambi i gruppi che si stanno creando sono forti».

La nuova guerra di posizione che spaventa le compagnie del petrolio

Nell'Egitto che ha dichiarato «guerra totale ai fondamentalisti» scontri e morti di piazza sono quotidiani, per il dissenso dei Fratelli musulmani alla deposizione del presidente Mohammed Morsi.
In Libia, dove volano missili contro l'hotel del pluriassaltato parlamento, non esiste ancora la carica di presidente della Repubblica. Ma mentre una Costituente democraticamente eletta cerca a fatica di designarne funzioni e limiti istituzionali, il 71enne Haftar, dal curriculum che ha ben poco di democratico, punta a sfruttare il vacuum per radicarsi al potere.
LOTTA AI TERRORISTI. Con un parlamento sospeso per cause di forza di maggiore fino alle legislative e una no-fly zone sopra Bengasi contro gli attacchi aerei del generale tornato dagli Usa, dalla tivù saudita di al Arabiya un colonnello dei golpisti libici ha paragonato «i terroristi di Bengasi ai Fratelli musulmani», promettendo di «schiacciarli entrambi».
LAICI CONTRO ISLAMISTI. A Tripoli, il governo con le spalle al muro si è messo nelle mani delle potenti milizie di Misurata, vicine agli islamisti, che nell'ottobre 2011 catturarono e uccisero Gheddafi: l'uomo d'affari Ahmed Miitig, eletto dal parlamento come nuovo premier di un gruppo indipendente, è in realtà espressione di questo gruppo.
Con un'assemblea esautorata, la nuova, forse breve, guerra civile libica viene schematizzata come una battaglia tra «milizie laiche» e «gruppi islamisti» e il finale egiziano appare all'orizzonte.
GAS E PETROLIO A RISCHIO. Ambasciate e consolati stranieri chiudono. Un piano militare, strutturato non si sa bene da chi, ha portato gli uomini di Haftat a controllare, attraverso un'alleanza con le milizie di Zintan, la strada per l'aeroporto di Tripoli.
Si sa, però, che colossi come Shell, Exxon Mobil, Repsol e Total, contendono all'Eni i pozzi inesplorati e riserve di gas naturale e scisto. E, a questo punto, capire se qualcuno avrà mai un vantaggio dalla nuova Libia è dura.
L'ANARCHIA PERICOLOSA. «Nessuno finora ne ha tratto i vantaggi prospettati, tanto meno i francesi che anziché firmare contratti con il nuovo governo hanno fatto la guerra in Mali», commenta Stefano Silvestri, membro della Trilaterale ed ex sottosegretario della Difesa. «Dopo Gheddafi, arrivato al capolinea, è seguita un'anarchia pericolosa, in prospettiva, per tutti. Per le commesse di petrolio e gas dell'Eni, tra gli altri. Per arabi, egiziani e tunisini se dovessero metterci le mani».
(Lettera 43)

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