Perché restare umani è un po’ come ridere...





Non ho mai incrociato quel ragazzo dal fisico possente, lo sguardo intenso, la erre moscia e la risata fragorosa e contagiosa. Attivista per i diritti umani, pacifista, giornalista dalla prosa raffinata quanto aspra e netta. Gli ho parlato un paio di volte al telefono, quando a Larnaca nel 2009 in attesa di salpare con le navi del Free Gaza Movement, lui dalla Striscia di Gaza rassicurava me, ragazzo spaventato per un’avventura folle: raggiungere le coste palestinesi con un’imbarcazione sgangherata, carica di aiuti umanitari, cercando di violare l’embargo imposto da Israele per dimostrare l’assurdità di una decisione unilaterale. Quel progetto è naufragato perché una delle due imbarcazioni non ottenne i permessi per lasciare le coste cipriote, mentre l’altra fu fermata in mare aperto e tutti i passeggeri arrestati. Non lo incontrai più. Mai da vivo. Lui era Vittorio Arrigoni.

Nel pomeriggio del 14 fino alle prime ore del 15 aprile del 2011 quella risata solare e contagiosa ritornò nitida nella mia mente. Erano giornate di lavoro intenso perché impegnati al Campus di Biennale Democrazia, quando nel pomeriggio arrivò la notizia del rapimento di Vik. Incollati allo schermo di un Pc, io ed altri abbiamo atteso un epilogo che non è mai arrivato: “Vittorio Arrigoni è stato liberato dai suoi rapitori”. Così non è stato. Arrivò un’altra notizia, quella che per ore avevo cercato di allontanare: Vik era stato strangolato dai suoi carcerieri, un gruppo di estremisti islamici. E, inspiegabilmente, la prima cosa a cui pensai fu proprio la sua risata e non ne capivo il motivo.

Ricordo poi il dolore, mio come di molti altri, alla notizia dell’assassinio di un ragazzo di 36 anni, mai conosciuto di persona eppure molto vicino, morto in una Terra che aveva amato in modo completo, totale, esalando lì il suo ultimo respiro.

Partecipai al funerale, a Bulciago, piccolo paese della Brianza Comasca a pochi minuti di strada da dove sono nato e vissuto per oltre 26 anni. Il funerale è stato un abbraccio caloroso di popolo. Un popolo vario, diverso e variopinto, arrivato da ogni angolo del mondo, per dare l’ultimo abbraccio a Vik, quel ragazzo muscoloso e gentile, solare e deciso, morto dall’odio che aveva cercato di combattere di persona, senza mai tirarsi indietro.

Mancano due giorni all’anniversario della sua morte. Scrivo mentre a Bulciago lo si sta ricordando, a tre anni dalla sua scomparsa, per dimostrare che quell’odio ha interrotto la sua corsa folle alla vita, ma non il progetto che lui aveva in mente. Un progetto semplice, se ci pensate: dare ai cittadini di Gaza, quel fazzoletto di terra dimenticato dagli uomini – quelli che contano – e da Dio, la possibilità di vivere in pace, liberamente, senza essere schiacciati dalle dinamiche che in quell’angolo di Mondo rendono un paese schiavo, per motivi e responsabilità diverse e contrastanti. Eppure quel progetto non si è ancora compiuto, nonostante gli sforzi di quanti rincorrono il sogno di Vik.

Manca Vittorio Arrigoni, come manca la sua risata. Forse solo ora, a distanza di anni, capisco perché mi venne in mente proprio la sua risata dirompente, in quella notte tragica. Perché la risata è un’espressione del proprio essere: una reazione istintiva, umana, viscerale. Un gesto incontrollato, dettato dalla spontaneità. E così, come quando si scoppia in una risata fragorosa, voglio pensare che Vik abbia vissuto la sua intera esistenza. E sì, sono certo che lui abbia agito come quando si scoppia a ridere: in modo umano ha risposto alle atrocità che i suoi occhi hanno visto. Lo ha fatto in modo netto, senza lasciare margini all’interpretazione, urlando al Mondo ciò che vedeva e perché tutto quel dolore stava passando di fronte a lui. Lo ha fatto con il suo corpo, con le sue parole, con le sue azioni. Lo ha fatto senza mai usare la violenza. In un contesto carico di odio, una miscela esplosiva di atrocità, ha scelto la strada della disobbedienza civile, della pace.
Non ha mai avuto posizioni facili o comode e nemmeno mediate. Non era un moderato, non cercava di mettere d’accordo tutti.

Ma è riuscito a Restare umano. E riuscirci, paradossalmente, è un po’ come ridere.  
(Acmos)

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