Quella della Turchia non si può chiamare Internet...





Il capo di stato Abdullah Gül ha approvato la nuova legge bavaglio che mette fine alla libertà delle rete sul Bosforo. Google ci aveva avvertito.


di Antonino Caffo
Era stata approvata il 5 febbraio scorso ma il via libera si è avuto solo da qualche giorno. Stiamo parlando della norma che metterà a tacere, una volta per tutte, i blogger e navigatori dissidenti turchi. Lo ha deciso il Parlamento con due nuove misure. Prima di tutto il dipartimento della TIB, la Presidenza della Comunicazione e Telecomunicazione turca, potrà oscurare su due piedi siti web, bloccare l’accesso ad internet e rimuovere tutti i contenuti digitali, diffusi all’interno del paese, ritenuti illegali. Inoltre, i provider e i locali che offrono un accesso pubblico tramite Wi-Fi gratuito, dovranno tenere un archivio con i dati sensibili degli utenti per almeno due anni, mettendoli a disposizione della autorità, qualora richiesto.  
La decisione arriva dopo che il capo di stato, Abdullah Gül, pur con la facoltà di porre il veto sulla questione, ha deciso di accoglierla, facilitando di fatto il processo di controllo del web turco avviato dal primo ministro Recep Tayyip Erdoğan. Da qualche ora, le autorità governative del paese possono censurare qualsiasi cosa passi per il web senza un ordine giuridico, con la scusa di proteggere la privacy dei politici. L’unico spiraglio di luce, per un più equo giudizio, arriva da una postilla fatta inserire da Gül, nella quale si chiede che, anche dopo aver fatto oscurare un sito senza mandato, entro ventiquattro ore giunga l’autorizzazione a procedere da parte di un tribunale. Per l’opposizione si tratta di una vera e propria farsa, visto il tempo ristretto in cui i giudici dovrebbero decidere se un contenuto considerato “illegale” lo sia davvero. A questo punto governo e magistratura potrebbero agire di concerto per bloccare ciò che vogliono.
Ma quella che in Turchia viene ancora definita Internet rispecchia ancora le sue caratteristiche principali?
Secondo quanto riportato dalla Reuters , Google lo scorso dicembre ha mostrato come il numero delle richieste di rimozione, da parte delle autorità turche, sia cresciuto di oltre dieci volte quello evidenziato nella prima metà del 2012. Nei primi sei mesi del 2013, la Turchia ha chiesto a Google di eliminare dal web circa 12 mila contenuti, rendendo il paese il primo al mondo per richieste di censura. La volontà di accelerare il processo di controllo digitale sul paese sarebbe arrivato a seguito di una conversazione apparsa su SoundCloud all’inizio di febbraio, dove si sente Erdogan parlare di alcune facilitazioni per procedure burocratiche edilizie a favore di un magnate del settore in cambio di due ville per la sua famiglia.
I navigatori e i media turchi, ovviamente, non ci stanno e hanno cominciato a protestare a loro modo contro la legge censura. L’azione che meglio rappresenta la situazione del web turco è quella del quotidiano nazionale Radikal. Dalle pagine del proprio sito, come spiega Daily News , la testata ha lanciato una campagna con cui alcune delle notizie presenti sulla homepage si “autodistruggono” nel giro di 4 ore, mostrando le conseguenze dirette di quello che potrebbe diventare la legge promulgata dal governo. “Ogni tipo di informazione o notizia, apparsa su siti e blog, potrebbe essere cancellato nel giro di poche ore – si legge su Radikal – non ci sarà più un libero pensiero”. Sicuri di poterla ancora chiamare internet?
(Panorama.it)

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