Lucrare sui migranti a Lampedusa...
di Domenico Chirico
Da un po’ di tempo troppe persone, giornali e politici si stracciano le vesti per le continue tragedie di Lampedusa. Per fortuna che in Italia c’è tanta gente che dai tempi del ghetto di Villa Literno (Caserta, 1990-1992) si impegna per proteggere i migranti. Purtroppo le informazioni che tutte queste persone hanno veicolato negli anni non erano marketable (vendibili o adegua-te al mercato).
Era evidente già negli anni novanta che il trattamento riservato ai migranti sarebbe stato la palestra di future repressioni per tutti. Nel 2001 Napoli e Genova ne furono l’apice. Ma il siste- ma repressivo si era già organizzato creando gruppi di sub-umani da poter reprimere più facilmente. I migranti albanesi ne sanno qualcosa, quando arrivavano in Puglia e venivano caricati a manganellate al porto e rimessi sulla nave. Le tragedie delle navi Kater i Rades e Johan sono anch’esse, con le loro centinaia di morti, dimenticate. La legge Turco-Napolitano ha regolarizzato questo sistema violento di gestione delle migrazioni, in cui da un lato si elargivano fondi al terzo settore per fare tante cose utili e molte inutili e dall’altro si costruivano i primi Cie, dove si sono realizzate in questi ultimi quindici anni molte delle peggiori politiche repressive sulla pelle dei migranti.
È stata necessaria una strage di migranti, l’ennesima, lo scorso ottobre, e poi il video di un siriano fuggito dagli orrori dalle guerra e armato di un cellulare per riaprire il caso. Almeno temporaneamente, in tempo comunque per non rovinare le vacanze di Natale da consacrare al consumo più che alla pietà. Ma oggi la strage dei migranti è già dimenticata. Sono rimasti alcuni strascichi, passati sotto silenzio perché un po’ vergognosi. Il primo, paradossale, è che alle vittime è stata riconosciuta la cittadinanza italiana. Solo che poi le salme, in quanto di cittadini italiani, non sono potute rientrare nei paesi d’origine, dove alcune famiglie li reclamavano.
A questo problema pare non sia stato trovato ancora un rimedio, dato che le salme sono state seppellite nei cimiteri dell’agrigentino. Neanche ai mali del centro di Lampedusa è stato trovato un rimedio, eterni come il silenzio che da sempre li ha circondati. Tutti sanno ad esempio che i migranti chiusi nel centro non possono uscire, salvo che da un buco nella rete, tollerato perché sarebbe insostenibile tenere chiuse centinaia di persone appena fuggite da guerre e viaggi terribili. Tutti sanno che una volta arrivati i migranti vengono registrati e poi si devono cercare da soli un giaciglio. Ci sono centinaia di persone ammassate, intere famiglie. I bagni sono pochi e in pessime condizioni. I bambini, i malati, gli anziani, tutti negli stessi cessi. Da sempre gli enti gestori risparmiano sul cibo servendo le migliori schifezze in modo da lucrare il più possibile sui 42 euro al giorno che vengono pagati per ogni migrante arrivato a Lampedusa. Pare che addirittura si usi l’acqua non potabile per cucinare. Solo per i migranti. In tutto il centro non c’è una fotocopiatrice. Non c’è un bagno per gli operatori. Sì, perché questo schifo è gestito non da chi vi è chiuso ma da operatori sociali e forze dell’ordine, tra cui pochissimi parlano una lingua straniera. Qualsiasi lingua straniera, non il dialetto eritreo o l’aramaico delle comunità cristiane a cui appartengono i siriani in fuga. E spesso i migranti in transito a Lampedusa vengono apostrofati in italiano senza poter capire nulla.
Questa è Lampedusa, e qualsiasi mezzo di comunicazione di massa che scopre oggi questa tragedia è ipocrita, come sono ipocrite le istituzioni che ci lavorano dentro, che sanno e tacciono. Ma mentre un’istituzione obbedisce e spesso tace, è sorprendente che alcune ong interna Zionali, che lavorano da anni nel centro, abbiano sempre taciuto, nonostante tutto sia noto. Chi passa il tempo a fare marketing dei buoni sentimenti per raccattare denaro avrebbe potuto denunciare prima, invece di rimanere nel centro e rendersi complice di questa vergogna.
E infine c’è l’ente gestore del centro di Lampedusa che apparteneva alla Lega delle cooperative. Stupisce solo che ancora faccia scalpore sapere che una cooperativa si possa comportare in questo modo. Sono anni che molte cooperative sono diventate le stampelle del sociale a basso costo, e questo è un esempio chiaro di come si ristruttura il welfare in italia, con ong internazionali pronte a tutto e cooperative low cost pronte a essere strumenti delle peggiori politiche sociali.
È stato necessario il video di un uomo siriano fuggito dalla guerra per svegliare qualcuno,ma non sarebbe bastato se un’altra persona non avesse compiuto il più semplice e necessario atto di disobbedienza civile. Khalid Chouki, parlamentare del Pd, si è andato a chiudere nel centro di Lampedusa, e ha deciso di rimanerci finché non ci fossero stati dei cambiamenti. Anche qui stupisce che non sia stato seguito da altri cento parlamentari, per esempio tra quelli più chiassosi, quelli che non mancano di far sentire la loro voce sempre.
Invece questo parlamentare ha messo in gioco il suo corpo tra i migranti, ha messo in gioco la sua storia, e ha ottenuto lo svuotamento del centro, almeno in modo temporaneo. E poi è corso a Ponte Galeria, vicino Roma, un altro centro, per ispezionare anche quello, come dovrebbero fare tutti i parlamentari italiani per ridare dignità al loro paese, nonché a noi che, ogni tanto, li votiamo.
Basterebbe un monitoraggio costante di questi centri, come delle carceri, per non renderli degli inferni, per non lasciare che gli uomini diventino lupi contro agnelli, per dare spazio e voce all’indignazione.
Una volta nel cortile della questura di Caserta venne costruita una gabbia per ospitare temporaneamente i migranti irregolari fermati dalla polizia. Una gabbia nel cortile, alla mercè di tutti i passanti. Il vescovo del tempo, monsignor Nogaro, corse alla questura e impose la fine di questo scandalo, che considerava tale per tutta la città, per le persone con una dignità, per i fedeli. E basta davvero molto poco perché l’abbrutimento non prenda il sopravvento. I tempi sono sufficientemente cupi perché prevalgano sentimenti funesti e perché qualcuno possa pensare che per curare la scabbia sia necessario lavare una persona d’inverno con la pompa in un cortile di un centro per migranti naufraghi, senza un visita medica in un luogo appropriato.
Per evitare che episodi come questi si ripetano, a inizio febbraio decine di associazione, reti solidali, ong perbene, attivisti delle due rive del Mediterraneo si sono incontrati a Lampedusa per costruire insieme una carta di intenti che riveda le politiche di accoglienza, che ridia dignità all’accoglienza, alle persone. Che chiuda l’epoca della legge Bossi-Fini e della negazione di umanità a migliaia di persone. È un tentativo necessario, perché la società civile, anche se non è stata complice, non è stata negli ultimi anni capace di farsi sentire. Per questo molte persone rientrate da Lampedusa saranno il 15 febbraio fuori al Cie di Ponte Galeria a Roma per chiederne la chiusura. Intanto i migranti che fuggono per sopravvivere sanno meglio di tutti cosa fare. Come i siriani, che appena arrivano in Italia chiedono come si faccia ad arrivare, o forse a scappare, in Germania o in Svezia
Articolo pubblicato anche dalla rivista Lo Straniero (febbraio 2014).
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