Siria, patrimonio dell’umanità a pezzi...
Il conflitto siriano sta mietendo sempre più vittime, di fronte alla morte di esseri umani la distruzione del patrimonio storico della Siria passa in secondo piano. Tuttavia la Convenzione dell’Aja del 1954 sentenziò che “i danni arrecati al patrimonio culturale di un qualsiasi Paese, rappresentano un danno al patrimonio di tutta l’umanità”. L’articolo presenta una visione aggiornata sullo stato del patrimonio storico-artistico del paese. Per chi volesse approfondire la situazione segnaliamo il sito internet della Direzione delle antichità e dei musei della Siria (DGAM), dell’Unesco, e le pagine Facebook Protect Syrian Archaeology e Le patrimoine archèologique syrien en danger.
(di Maurizio Porcu – L’Indro). Beirut – Quella che nel marzo 2011 era iniziata come una "rivolta", sull’onda delle "primavere" che stavano dilagando in svariati Paesi arabi, e che, fin dall’estate di quell’anno, gli analisti più attenti hanno identificato come una ‘ribellione armata’ anticipo di una ‘guerra interna all’Islam’, che avrebbe visto schierate le potenze regionali e internazionali, si sta sempre più affermando come una guerra che miete vittime e distrugge un pezzo importante del patrimonio culturale dell’umanità. In Siria - Paese che detiene una serie di siti di altissimo valore storico e culturale - insieme a uomini e donne, si sta "ammazzando" un pezzo del patrimonio culturale mondiale.
Durante un conflitto, le fazioni in lotta, sono solite utilizzare ogni genere di espediente per prevalere sulla fazione rivale, e l’annientamento culturale è uno di questi. Il fine è di diminuire la coesione interna prima, minarne l’autostima durante, e riscriverne la storia secondo il punto vista deciso dal vincitore poi. Altre volte, più semplicemente, entra in azione in caso: il sito di valore si trova nel mezzo dell’area di scontro. A ciò si aggiunge il saccheggio, il trafugamento perpetrato da collezionisti senza scrupoli, un business che in Siria sta diventando molto importante.
“Ho lavorato per 14 anni in Siria - oltre che in Turchia e Arabia Saudita - negli scavi archeologici di Tell Shiukh Fawqani -a nord di Aleppo-, Qatna -20 km a est di Homs-, ar-Rawda -entroterra di Salamiyyah-, e nella ricognizione archeologica della Palmirena -Palmira. I lavori in Siria sono stati interrotti con l’inizio della rivoluzione siriana”, ci racconta Alberto Savioli, archeologo, ricercatore dell’Università di Udine, documentarista, esperto di cultura siriana. Savioli oggi si occupa del progetto PARTeN, diretto da Morandi Bonacossi, volto allo studio dell’entroterra della capitale assira Ninive, attraverso una ricognizione archeologica di un territorio di 3000 kmq, e lo studio della rete di canalizzazioni assire costruite dal re assiro Sennacherib con lo scopo di portare l’acqua alla capitale e irrigare il suo entroterra. “Vale la pena di ricordare che all’interno di questo territorio si trova il probabile sito della battaglia di Gaugamela (Tell Gomel), nella quale Alessandro Magno nel 331 a.C. sconfisse definitivamente il re persiano Dario III”.
Questo principio, in Siria, è stato violato già all’inizio della rivoluzione. Già nel luglio 2011 il Premier siriano Adel Safar denunciava il trafugamento verso l’estero di oggetti scomparsi dai musei siriani, puntando il dito contro bande di criminali infiltratesi in Siria, come già avvenuto in Iraq e in Libia. Importanti dannni erano avvenuti anche da parte del regime siriano a danno, per esempio, della via colonnata di Apamea (Hama), dell’oasi di Palmyra (Homs – foto a destra), della fortezza crociata del Crac des Chevaliers (Homs), dell’antica rocca di Qalat al Mudiq (Hama), tanto che il 30 marzo 2012 l’Unesco aveva pubblicamente chiesto alle autorità di Damasco di vigilare sui siti presenti sul territorio. Un richiamo il cui obiettivo non era solo quello di tentare di fermare il trafugamento di opere, ma anche quello di chiedere al Governo siriano di non distruggere il proprio patrimonio artistico.
La direzione nazionale delle antichità e dei musei in Siria (DGAM), diretta Maamun Abdel Karim, già in precedenza aveva messo al sicuro i materiali più importanti del Museo Nazionale di Damasco nei caveau. Alcuni suoi funzionari, inoltre, tentano di instaurare contatti con chi di fatto ha messo le mani sui musei (come quello di Marret an Numaan) non più controllati dal Governo siriano, tentando di convincere i combattenti a non disperdere il patrimonio. Ma la situazione sul territorio è ulteriormente peggiorata. L’aviazione siriana bombarda alcune aree del Paese e a volte vengono colpiti siti storici come la fortezza di Qalat Rahba (Deir ez Zor). In questo periodo è stato danneggiato, con un colpo di mortaio, il mosaico della facciata nord della Moschea degli Omayyadi e le mura della Cittadella a Damasco, qui le responsabilità si sono "rimpallate" tra ribelli e regime. Ultime notizie da fonti siriane, riferiscono che il magazzino contenente reperti provenienti dal sito archeologico di Heraqla (situato vicino alla città di Raqqa), è stato saccheggiato da un gruppo armato. Centinaia di oggetti in gesso, mosaici e ceramiche sono stati rubati. Il direttore della DGAM, Abdel Karim, ha fatto un appello per il ritorno del materiale trafugato. Nella città di Raqqa, si sostiene che un gruppo presente come personale di sicurezza abbia rimosso un certo numero di casse contenenti significativi reperti archeologici dal magazzino del museo con il falso pretesto di spostare le casse per un loro stoccaggio più sicuro. Diverse fonti siriane hanno segnalato il ritorno di tre di queste casse. Un certo numero di oggetti di ceramica sono stati rubati da una sala espositiva nella storica fortezza di Qalat Jaabar -sull’Eufrate, a ovest di Raqqa. Inoltre, continuano gli scavi clandestini e i danneggiamenti della città di Apamea, che nelle foto satellitari appare come una gruviera (foto a sinistra), delle ‘città morte’ bizantine dello Jebel al Alaa o dello Jebel Zawia. Lo stesso campo di Diocleziano a Palmira è danneggiato da scavi clandestini.
Tell Mardikh (Ebla) come il villaggio di Mishrifeh (Qatna), Tell Barri, Tell Shiukh Tahtani, Tell Afis, Bosra, Palmira, solo per citarne alcuni, sono stati indagati da missioni archeologiche italiane. Nello specifico, lo scavo in cui ha lavorato per quarant’anni il professor Matthiae, è stato oggetto di scavi illeciti (foto a destra) che hanno danneggiato sicuramenti i livelli archeologici e il materiale rinvenuto è stato trafugato. I danni che ha subito sono segnalati sul sito dell’UNESCO e della DGAM.
Altri monumenti importanti dell’antica Aleppo sono stati danneggiati, come il Museo Archeologico e alcuni quartieri della città vecchia. La moschea ottomana di al Kamaliya (XVIII sec.), la Moschea Ottomana Adiliyah (XVI sec.) (foto a sinistra), la moschea mamelucca Qastel Harami (XV sec.), la moschea mamelucca di al Mehmendar (XIV sec.) hanno tutte subito bombardamenti. Anche la porta della città vecchia di Bab an Naser è stata danneggiata dagli scontri tra ribelli e soldati governativi, così come la cittadella di Aleppo.
Pare che i collezionisti privati di tutto il mondo stiano focalizzando la loro attenzione sulla Siria. Un ribelle durante un intervista al Washington Post ha dichiarato testualmente «Alcuni giorni siamo soldati, alcuni giorni siamo archeologi». Sappiamo per certo che molti scavi sono proseguiti nella clandestinità, alla ricerca dello specifico manufatto di valore, senza prestare cura alle modalità ed alla conservazione del resto dello scavo. Alcuni importanti musei hanno subito furti. C’è una regia in tutto questo?
Numerose fonti riportano che molti siti archeologici in Siria sono stati sistematicamente presi di mira per scavi clandestini da parte di gruppi ben organizzati e spesso armati, non tutti provenienti dalla Siria. Io stesso sono stato contattato da un attivista siriano, preoccupato per il fatto che dei combattenti nella zona dove risiede, volessero ‘strappare’ un mosaico e volessero rubare un sarcofago. A volte i trafugamenti sono opera di bande armate ben organizzate, altre volte vengono eseguiti da combattenti o da semplici cittadini intenzionati a fare qualche soldo, nella difficile situazione economica in cui si trovano. Molti di questi reperti stanno arrivando in Libano e in Turchia, l’Interpol è allertata, vi sono siti internet appositi in cui è possibile vedere una lista di oggetti scomparsi, questa serve alle case d’asta e ai collezionisti per non comperare oggetti provenienti da scavi clandestini. Una situazione analoga si era registrata per gli oggetti rubati in Iraq, dopo qualche anno di latenza vengono ‘ripuliti’ attraverso collezioni private per poi comparire sul mercato legale. Per questo motivo è importante vigilare, documentare e denunciare, per quanto possibile, quanto sta avvenendo.
La mancanza di un referente politico o di un referente riconosciuto internazionalmente nelle zone controllate dai ribelli, impedisce di operare per un maggiore controllo dei siti che si trovano in queste aree. Le operazioni che vengono compiute a livello internazionale per impedire il commercio illecito di opere d’arte, purtroppo, sono l’unico strumento di cui disponiamo. Non si può chiedere una presa di coscienza da parte di chi ruba o distrugge il patrimonio storico, artistico e archeologico, e nemmeno da chi compera coscientemente materiale illegale.
Quello che, però, si potrebbe fare a livello internazionale, potrebbe essere uno stretto controllo sui materiali di provenienza vicino-orientale che cominceranno a comparire sul mercato nei prossimi anni....
(AGORA VOX)
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