Siria, colloqui di pace Ginevra 2? Seppelliti da un cumulo di macerie...




Di Luca Lampugnani | 30.01.2014 17:44 CET
Ad un giorno dalla loro chiusura, non si può certo dire che i colloqui di pace di Ginevra II abbiano portato risultati soddisfacenti. Se da una parte l'operazione delle Nazioni Unite è riuscita quanto meno a far sedere allo stesso tavolo sia i rappresentanti del regime di Damasco, sia i ribelli, è pur vero dall'altra che lo stallo è ancora lontano dal risolversi con la diplomazia. Punto fondamentale dello scontro, non è una grande novità, è Bashar al-Assad: la 'testa' del dittatore siriano è infatti un requisito fondamentale per la Coalizione Nazionale Siriana, l'unica forza di opposizione riconosciuta in occidente che pretende una transizione politica che allontani dal potere l'attuale regime. Richiesta, quest'ultima, sostanzialmente inaccettabile per i rappresentati di Damasco, i quali non sono disposti a mettere sul piatto delle trattative il loro leader e il loro dominio in patria, minato in questi due anni e mezzo di guerra civile dai continui conflitti armati che agitano il Paese. Domani, venerdì, le due parti si incontreranno di nuovo in un faccia a faccia per stabilire quando fissare il secondo 'round' dei colloqui di pace, nella speranza che per allora qualche risultato concreto venga messo a segno dalla diplomazia internazionale - attori fondamentali di Ginevra II sono infatti anche, tra gli altri, Russia e Stati Uniti-.
Nel frattempo, dopo la giostra di accuse partita all'indomani dell'attacco chimico dello scorso agosto in un sobborgo della capitale siriana - la responsabilità dell'azione viene fatta rimbalzare tra Damasco e i ribelli - un'altra grave ombra potrebbe allungarsi sul regime di Assad. Stando a quanto riporta uno studio di Human Rights Watch, infatti, nel periodo tra il luglio del 2012 e del 2013 le autorità siriane sarebbero colpevoli di moltissime demolizioni illegali - con esplosivi e bulldozer  -, usate come 'azione punitiva' da infliggere a quelle zone delle due città di Damasco e Hama sotto il controllo dei ribelli. Secondo quanto documentato dall'Ong, che ha messo insieme un report di 38 pagine dal titolo "Rasa al suolo: demolizioni illegali causate dal regime siriano tra il 2012 e il 2013", la furia cieca di Damasco si scatenava sulle abitazioni dei civili subito dopo gli scontri e i combattimenti tra esercito regolare e forze d'opposizione, in una punizione che avrebbe completamente distrutto una zona che in quanto a dimensioni può essere paragonata a quella coperta da 200 campi di calcio.
"Eliminare interi quartieri dalle carine geografiche non è una tattica di guerra legittima", ha dichiarato una delle ricercatrici di HRW, Ole Solvang, aggiungendo che "queste demolizioni illegali sono solo l'ultimo punto di una lunga lista di crimini commessi dal governo siriano". Dal canto suo, come riportato sul sito della stessa Ong, le autorità di Damasco hanno cercato di difendersi dalle accuse sostenendo che le operazioni di demolizione facevano parte di un lavoro di pianificazione urbanistica, volto ad eliminare gli edifici costruiti illegalmente. Peccato, sostiene Human Rights Watch, che questo curioso piano abbia riguardato solo ed esclusivamente le zone e i quartieri sotto il controllo dei ribelli, tralasciando completamente quelle aree che ancora sostengono il regime. Ad avvalorare l'accusa contro Assad, inoltre, ci sarebbero le testimonianze di alcune delle persone che si sono viste radere al suolo le abitazioni, come quella di una donna di un quartiere di Hama che racconta: "dopo la demolizione di Wadi al-Jouz, l'esercito è venuto nel nostro quartiere con gli altoparlati. Hanno detto che avrebbero distrutto tutto come in altre zone della città se anche un solo proiettile fosse stato sparato".
Insomma, benché lo studio di HRW si riferisca ad avvenimenti tra il 2012 e il 2013, riesce comunque ad essere uno spaccato particolarmente chiaro della brutalità del conflitto siriano - stando alle stime sarebbero morte già 100 mila persone, mentre sono moltissimi i rifugiati -, una guerra che si combatte in ogni parte del Paese e con ogni mezzo. Intanto, proprio per quanto riguarda l'instabilità siriana dovuta sia agli scontri tra Damasco e gli oppositori, sia alle divisioni e alle molte sfaccettature dei ribelli stessi, secondo l'intelligence statunitense sono in continuo aumento i militanti stranieri che combattono in Siria. "Stimiamo che nel Paese si trovino all'incirca 7 mila terroristi stranieri provenienti da una cinquantina di nazioni - ha affermato James Clapper, capo degli 007 di Washington -, molte delle quali europee e mediorientali". Certo questo aspetto della guerra civile siriana non è certo nuovo: sono ormai mesi e mesi che una serie di differenti interessi ha fatto si che molti Paesi mettessero le 'mani' sopra Damasco, tra finanziamenti ai ribelli e infiltrazioni di gruppi terroristici qaedisti nella lotta contro Assad. Uno su tutti è certamente lo Stato islamico di Iraq e al-Sham (più noto con l'acronimo di Isis), forza che si è sviluppata grazie ai vari conflitti interni che stanno agitando molti Paesi, sfruttando come bandiera la lotta ai regimi e ai governi sciiti che tentano di reprimere lo jihadismo sunnita.
Proprio per questo Isis sta avendo un grande 'successo' oltre che in Iraq, anche in Libano, dove si è unito alle forze che dichiarano guerra ad Hezbollah, il partito - e braccio armato - schierato con Assad nel conflitto siriano, probabilmente solo l'ultima scintilla di un fuoco che sta bruciando in tutto il Medio Oriente.
(INTERNATIONAL BUSINESS TIME)

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