LIBIA... Rapito e liberato, giallo su premier libico Ex ribelli rivendicano: “Era in arresto”...

Zeidan prelevato dall’hotel dove
vive da un commando islamista: «Preso perché ha autorizzato raid Usa». Dopo poche ore il rilascio. Comunità internazionale in allarme
Sequestro o arresto? È certamente confuso il quadro nel quale è stato catturato nella notte il premier ad interim libico Ali Zeidan, probabilmente da un gruppo di ex ribelli legati al ministero dell’Interno. Dopo una mattinata confusa il primo ministro è stato rilasciato.  

La situazione ha preoccupato la comunità internazionale. Prima della liberazione la Nato, per voce del segretario Anders Fogh Rasmussen aveva rivolto un appello sottolineando che «stabilità e stato di diritto sono molto importanti» per la ricostruzione del Paese. Il ministro della Difesa Mario Mauro aveva invece convocato una riunione con i vertici militari per «monitorare la situazione in raccordo con la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero degli Esteri». 

Preso da uomini armati nell’hotel Corinthia di Tripoli dove risiede, il primo ministro è stato portato «in un luogo sconosciuto da persone sconosciute». A rivendicare l’azione è stato poi il gruppo la “Camera dei rivoluzionari di Libia”, assoldato - come altri gruppi - dal ministero dell’Interno o della Difesa per garantire l’ordine pubblico nel tentativo di arginare il fenomeno delle milizie armate che dopo aver contribuito a far cadere il regime di Muammar Gheddafi hanno fatto il bello e cattivo tempo in Libia. Il gruppo ha quindi fatto sapere attraverso Facebook di aver agito su mandato di arresto della procura generale, in base al codice penale libico per reati contro l’ordine pubblico e corruzione. La procura ha però subito smentito di aver emesso l’ordine di arresto, che sarebbe invece scattato dal Dipartimento anticrimine del ministero dell’Interno. Il portavoce del Dipartimento, Abdel Hakim Albulazi, ha infatti confermato all’agenzia ufficiale libica Lana che Zeidan è «in custodia per un mandato di arresto emesso dal Dipartimento», aggiungendo che il premier è «in buona salute e che viene trattato bene come qualsiasi cittadino libico». 

Ma sullo sfondo c’è il blitz statunitense del cinque ottobre a Tripoli in cui è stato catturato un leader di al Qaeda, Nazih Al Ruqai - meglio noto come Abu Anas al-Libi - ritenuto la “mente” degli attentati alle ambasciate americane del 1998 in Kenya e Tanzania. Gli stessi ex ribelli hanno spiegato stamane che l’ “arresto” è legato al sequestro di al-Libi: «Il suo arresto giunge dopo una dichiarazione di John Kerry sulla cattura di Abu Anas al-Liby, dopo aver detto che il governo libico era al corrente dell’operazione», ha detto un portavoce del gruppo riferendosi al Segretario Stato americano. 

Gruppi estremistici libici avevano accusato nei giorni scorsi Zeidan e il suo governo di aver autorizzato segretamente il raid delle forze speciali Usa. Zeidan in una conferenza stampa aveva assicurato che la questione sarebbe stata affrontata con le autorità americane, ma che il blitz non avrebbe compromesso le relazioni fra Usa e Libia. L’ambasciatore Usa a Tripoli Deborah Jones era stata convocata dal ministro della Giustizia per chiarimenti e il Congresso nazionale aveva chiesto la riconsegna immediata di al-Libi. La tensione aveva portato Washington a dispiegare 200 marines nella base di Sigonella. ..
(La Stampa.it)

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