Libia, la (nuova) mappa del potere di Tripoli...

Conflitti tra milizie. Gestione del petrolio. Piani per le infrastrutture. Cosa cela il 'rapimento' del premier Zeidan....

di Giovanni Faggionato

Uno Stato travolto dalle lotte di potere. O, peggio, «uno Stato che non esiste più».
Karim Mezran, del Middle east policy council di Washington, riassume in una battuta il caos libico, culminato il 10 ottobre nel sequestro del premier Ali Zeidanrapito da 100 uomini armati senza sparare un colpo e poi liberato in poche ore.
IL FALLIMENTO POLITICO. «Hanno provato a far cadere il governo di Zeidan in parlamento. Ma per sfiduciare il primo ministro ci vogliono i due terzi dei voti. Non ci sono riusciti e hanno tentato la via militare», spiega a Lettera43.it. «Quella in corso è una lotta tra milizie che mira a spartirsi il potere usando il pretesto della presenza occidentale».
A due anni dalla caduta del regime di Muhammar Gheddafi, la Libia non conosce pace. È ancorauna terra senza autorità, dove è difficile chi capire chi comanda davvero e chi controlla le risorse del Paese.

1. Le forze dell'ordine spaccate

Il caos libico è dovuto soprattutto al fallimento nella gestione della sicurezza.
Da quando nel 2011 i ribelli libici si sollevarono contro Gheddafi, nel Paese si sono moltiplicati i gruppi armati, in una progressiva frammentazione militare e territoriale.
Il primo governo nato nel 2012 dopo la transizione ha provato a riassorbire i ribelli al suo interno. Ma è riuscito solo in parte a riportare l'ordine. Tanto è vero che una delle milizie responsabili del sequestro di Zeidan, la Camera dei rivoluzionari libici, è integrata nelle forze del dipartimento dell'Interno e della Difesa.
LA LOTTA INTESTINA. «Le modalità dell'arresto del premier, una colonna di mezzi con i motori accesi, un'operazione condotta all'alba, nell'albergo dove risiedono insieme il premier e il vicepremier ministro dell'Interno da milizie integrate nelle forze dell'ordine, dà l'idea di una lotta tra gli apparati dello Stato che percorre anche l'esercito e le forze dell'ordine», osserva Arduino Paniccia, analista esperto di questioni strategiche e militari.
SCONTRO TRA ARMATI. I fedelissimi all'attuale governo, nato da un'operazione con il bilancino che ha messo insieme i maggiori partiti politici e le rappresentanze territoriali, sono soprattutto la milizia al Qaqa di Tripoli, da sempre incaricata della protezione dei ministri, e altri gruppi di Misurata. Gruppi armati in lotta contro altri gruppi armati.

2. La gestione del petrolio: il crollo della produzione Eni

La Libia, secondo le stime dell'Eni, ha una potenzialità di produzione di 2 milioni di barili al giorno. Prima della rivoluzione e poi della guerra Nato che ha abbattuto Gheddafi, aveva raggiunto la quota di 1,6 milioni di barili. Oggi, invece, il livello è sceso ai minimi: circa 250 mila barili al giorno. Colpa delle milizie che bloccano la produzione nell'Est del Paese decise, secondo le denunce del governo, a vendere l'oro nero in proprio. Un'altra lotta di potere.
IL CONTROLLO DELL'ORO NERO. La gestione del tesoro libico è affidata al ministro del Petrolio Abdulrahman Ben Yezza e alla compagnia statale National oil corp che dal 2012 hanno un'agenda fitta di incontri con i partner stranieri (l'ultimo meeting a ottobre è stato con i dirigenti della British Petroleum).
La presenza di Ben Yezza è un ottimo affare soprattutto per Eni. Prima di entrare nel governo, infatti, il ministro era presidente della Eni Oil company, una società nata dalla partnership tra il cane a sei zampe e la compagnia statale libica.
IL SOSTEGNO AI RIBELLI. Attualmente la Nco controlla la gran parte della produzione libica. Ma si appoggia a diverse società sussidiarie. Tra queste c'è la Arabian Gulf Oil company, con sede a Bengasi.
La Agoco ha avuto un ruolo cruciale nel conflitto, appoggiando da subito i ribelli e contestando la dipendenza dalla Noc. Oggi la compagnia di Stato non riesce a recuperare il controllo di tutti gli impianti.

3. I nuovi piani di infrastrutture (affidati agli Usa) in stallo

In questo scenario, i progetti di sviluppo messi in piedi dal governo di Zeidan restano sulla carta. La bozza di bilancio approvata per il 2013 prevede investimenti per circa 11,5 miliardi di euro. La fetta più importante spetterebbe al ministero delle Infrastrutture e degli alloggi, guidato da Ali Hussein Al Sharif e dal suo braccio operativo, Mahmoud Ajaj, presidente del comitato per le infrastrutture.
Per portare avanti lo sviluppo del Paese, però, i dirigenti libici hanno bisogno di investimenti stranieri.
IL CONTRATTO CON AECOM. Negli ultimi mesi si sono susseguiti meeting a Doha e a Londra. E a giugno il ministero delle Infrastrutture ha annunciato di aver stipulato un contratto con la società americana Aecom.
La compagnia, già presente nel Paese prima del conflitto, è stata scelta per gestire un dossier complicato: il destino dei 10 mila contratti che lo Stato libico aveva in essere prima della guerra.
IL PROGETTO È GIÀ SLITTATO. La Aecom avrebbe un ruolo di supervisione e inoltre avrebbe il compito di addestrare i funzionari libici destinati a selezionare le imprese con cui continuare a fare affari.
Il primo team made in Usa doveva arrivare a luglio. E l'intero progetto sarebbe dovuto partire ad agosto. Peccato che l'estate è stata più calda del previsto. I legami con gli Stati Uniti sono diventati una bandiera per gli oppositori al governo. E oggi la Libia è una terra di nessuno.
Giovedì, 10 Ottobre 2013
(Lettera 43)


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