Guerra in Siria, i problemi del disarmo chimico Per smantellare l'arsenale tossico servono fino a 10 anni. Con costi miliardari. Rischi altissimi. E il Paese pacificato....

di Barbara Ciolli

Per disarmare la Siria ci sono due scelte. Una è sganciare missili cruise su siti che potrebbero liberare ingenti quantità di gas letali. L'altra è avviare una lenta, costosa e comunque difficile messa in sicurezza (o distruzione) di migliaia di tonnellate di sostanze chimiche, in un Paese privo di impianti di smaltimento e travolto da una cruenta guerra civile.
Le alternative finiscono qui. E alla prima opzione persino super-potenze interventiste come gli Stati Uniti preferiscono, ragionevolmente, una strada tortuosa come la seconda.
USA, AL LAVORO DAL 1997. Per esperienza diretta, la Casa Bianca sa bene che per smantellare l'arsenale non convenzionale del regime siriano possono occorrere parecchi anni. Gli Usa  lanciarono nel 1997 un programma di distruzione delle 31.100 tonnellate di munizioni chimiche che avevano accatastato durante la Guerra fredda: è costato svariati miliardi di dollari e, soprattutto, non è ancora finito.
Gli americani dovettero reclutare i massimi esperti di scorie tossiche per portarlo a termine. E ci sono voluti 15 anni per disfarsi di 1.800 tonnellate (il 5,8% del totale), stipandole in atolli bunker del Pacifico.
L'IMPIANTO RUSSO. Di pari passo, nel 2009, in base agli accordi sul disarmo, anche la Russia ha inaugurato un impianto per lo smaltimento delle sue armi tossiche, vicino alla città fantasma di Shchuchye,1.800 chilometri a est di Mosca.
Pagata per il 36% dagli Usa (per un importo superiore a 1 miliardo di euro) nell'obiettivo di neutralizzare circa 40 mila tonnellate di materiale, la struttura, finanziata in parte anche dall'Unione europea (Ue), potrebbe far comodo pure al presidente siriano Bashar al Assad.
Farci arrivare le armi e le sostanze chimiche siriane rischia però di essere un'impresa. Non solo per ovvie ragioni di trasporto. Ecco i cinque ostacoli al piano.

1 - Il nodo legale: serve firma immediata della Siria alla Convenzione

Il primo ostacolo delle task forceinternazionali che potrebbero partire per Damasco è di natura legale.
La Siria è uno dei cinque Paesi (con Angola, Corea del Nord, Egitto e Sud Sudan) che non ha mai firmato laConvenzione sulla armi chimiche del 1993(Cwc): di conseguenza, l'Onu ed eventuali altre agenzie internazionali incaricate non hanno alcun ombrello per procedere alle ispezioni di sopralluogo e alla messa in sicurezza dei siti di produzione e stoccaggio.
L'ADESIONE AL TRATTATO. Per bocca del suo ministro degli Esteri Walid al Muallem, Assad è pronto a «dire dove si trovano le armi chimiche, cessarne la produzione e mostrarne le strutture ai rappresentanti della Russia, di altri Paesi e delle Nazioni Unite».
Damasco ha anche accettato l'invito russo ad aderire alla Cwc, quindi anche al suo organo di controllo per le ispezioni e le verifiche, l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opcw) con sede all'Aja e convenzionata con l'Onu.
UN'IMPRESA DIFFICILE. Perché succeda e le operazioni si avviino Damasco deve firmare e ratificare il trattato rapidamente. «Altrimenti», ha puntato il dito la Casa Bianca, «l'ok sarà solo un bluff per prendere tempo».
«Siamo impegnati con i siriani nel definire i dettagli concreti su come svolgere il lavoro. E certamente non è una missione facile» ha ammesso anche l'ambasciatore russo in Giordania Alexander Kalugin, impegnato nelle trattative.

2 - Consegnare le armi non è distruggerle: il braccio di ferro all'Onu

Il secondo problema sta nella definizione degli obiettivi: distruggere le armi siriane o, più banalmente, affidarle a terzi?
Spronata dalla Russia, la Siria ha vagamente accolto la richiesta degli Usa a «consegnare e mettere sotto il controllo della comunità internazionale» il suo arsenale chimico, stimato dalle intelligence occidentali come il terzo più grande dopo quello di Russia e Stati Uniti: oltre 1.000 tonnellate tra agenti e precursori chimici e migliaia di munizioni, tra missili, bombe aeree e razzi di artiglieria.
Il ministro degli Esteri di Damasco al Muallem ha anche accennato «all'obiettivo di cessare di avere ogni arma chimica», senza tuttavia mai esplicitamente parlare di «distruzione». A questo preciso obiettivo si sono invece riferiti Francia, Stati Uniti e la diplomazia Ue.
NASCONDERLE È FACILE. La questione non è di lana caprina, perché, mentre depositare armi chimiche in luoghi sicuri è un processo relativamente facile e veloce, smantellarne le scorie richiede, secondo gli addetti ai lavori, dai cinque ai 10 anni in contesti non di guerra. Dove c'è un conflitto, come in Siria, potrebbe essere anche più lungo.
Dopo l'esplosione delle rivolte del 2011, parte dell'arsenale è stato trasportato su camion dal regime nei grandi depositi di Khan Abu Shamat (a nord di Damasco) e ad al Furklus (a ovest di Homs). E, con l'aiuto di Mosca, anche nell'enclave alawita del clan degli Assad vicino al porto di Tartus, sede della base navale russa nel Paese.
STOCCATE NEL TERRENO. Di norma, gli agenti chimici vengono stoccati in bombole di varie dimensioni, sicure, quando non sono corrose, anche in semplici container o in luoghi chiusi (incluse le buche nel terreno), non soggetti ad attacchi.
Proprio la facilità nel mettere al riparo le armi chimiche fa dubitare all'Occidente che Assad, prima di far entrare task force straniere, nasconda parte dei suoi stock.

3 - Il problema logistico: i gas nascosti in 50 siti sconosciuti, target di attentati

La terza difficoltà nel consegnare le armi alla comunità internazionale è di natura logistica. Gli stessi servizi segreti filo-occidentali, che pure sorvegliano i siti sospetti con immagini satellitari e con l'ausilio dei droni, ignorano ancora la localizzazione di molti impianti di produzione e stoccaggio delle sostanze tossiche.
Tra l'altro, i gas chimici usati in guerra vengono spesso depositati seguendo la tecnica definita del 'doppio binario': pare infatti che i due agenti del composto che dà vita al gas nervino siano tenuti separati fino all'ordine del loro utilizzo.
50 SITI NON IDENTIFICATI. Oltre a sei grandi, presunti centri di confezionamento e stoccaggio nelle periferie di Damasco, Homs, Hama, Latakia, Palmyra e Aleppo, le intelligence hanno stimato una cinquantina di depositi sparsi in tutta la Siria. Ma le mappe delle diverse agenzie nazionali non coincidono: secondo indiscrezioni riferite dal Washington Post, per esempio, il governo statunitense avrebbe dati certi solo su «19 dei 42 siti sospetti».
Gli ispettori dell'Onu devono insomma ricostruire la reale localizzazione dei siti, poi stilare un inventario sull'ammontare di sostanze e munizioni.
TARGET DI ATTENTATI. I depositi di armi non convenzionali sono però anche obiettivi sensibili per le due fazioni in lotta: da mesi target degli assalti dei gruppi qaedisti (come la base di al Safira vicino ad Aleppo) e terreno di battaglia tra esercito regolare e ribelli.
Le task force straniere possono essere inoltre loro stesse bersaglio di attentati, sequestri e altre azioni di rappresaglia.

4 - Servono Caschi blu per la task force Onu e il trasporto delle armi

L'Onu, che nel conflitto civile vuole essere neutrale, non può accettare che i propri uomini viaggino con le autorità siriane e sfruttando la protezione.
Sia per garantire l'accesso sicuro agli impianti chimici sia poi per consentire lo spostamento del materiale ad alto rischio, l'unica strada percorribile è quella di creare corridoi di sicurezza e tracciati protetti da forze internazionali di peace-keeping.
FORZE DI PEACE-KEEPING. Neanche queste misure di sicurezza tuttavia sono di immediata applicazione, senza l'ok dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia), finora impantanato dai veti incrociati.
Secondo uno studio del 2012 del Pentagono, per mettere al riparo l'arsenale siriano in siti controllabili anche dalle potenze occidentali occorrerebbero «circa 75 mila soldati». Peccato che, al momento, un contingente militare internazionale - ancorché di Caschi blu - non sia visto di buon occhio né dal regime di Damasco, né nei territori controllati dai gruppi ribelli.
LA RISOLUZIONE VINCOLANTE. All'indomani della svolta negoziale, Russia e Siria hanno bollato come «inaccettabile» la bozza di risoluzione vincolante sulla consegna delle armi chimiche che Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna hanno annunciato portare nel consesso di Palazzo di Vetro. Sulla modalità e sui tempi della consegna delle armi, si profilano bracci di ferro lunghi all'Onu.

5 - Tempi biblici per distruggere le armi all'estero o bruciarle in Siria

Il traguardo più ambizioso sarebbe la distruzione dell'arsenale chimico di Assad.
Per gli Stati Uniti e l'Ue, il percorso più sicuro sarebbe concentrare il materiale nel porto siriano di Tartus. Da lì, attraverso navi e ponti aerei, in tandem con le forze di Mosca, si potrebbero smistare gas e munizioni all'estero.
Oltre all'impianto russo di Shchuchye, potrebbero servire le strutture predisposte in Libia da Muammar Gheddafi quando decise di disfarsi delle sue armi di distruzione di massa, come da accordi con gli Usa. La Germania, che da anni accoglie e tratta le scorie nucleari di molti Paesi stranieri, si è inoltre offerta di partecipare «tecnicamente e ad altri livelli», come si legge nella nota ufficiale, al disarmo chimico siriano.
I TRASPORTI ALL'ESTERO. Anche Gran Bretagna e Francia, comunque, hanno maturato esperienza nel settore. E gli stessi Usa, su mandato di Gheddafi stivarono sulle loro navi tonnellate di armi e agenti chimici del Colonnello libico.
Un'operazione simile a quella che andrebbe effettuta in Siria fu condotta, tra il 1991 e il 1999, dalla missione Unsom dell'Onu in Iraq, al termine della guerra con l'Iran. Tuttavia si trattava di un intervento su scala più ridotta e con minori pericoli, in un Paese pacificato.
Per disfarsi direttamente in Siria dei gas mostarda e nervini (Sarin e Vx) prodotti da Assad servono invece speciali inceneritori, ancora da costruire.
GLI INCENERITORI TOSSICI. Come se non bastasse, prima di essere bruciate, le sostanze devono subire delicati «trattamenti di neutralizzazione chimica e termica». Se durante la trasformazione qualcosa va storto, si sprigionano fumi tossici nell'ambiente.
Un rischio alto, nel far west siriano. Persino per le nuove unità mobili del Field deployable hydrolysis System (Fdhs) sviluppate di recente dal Pentagono per distruggere fino a 24 tonnellate al giorno di gas tossici, in terra straniera.
Mercoledì, 11 Settembre 2013
(Lettera 43)

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