Storie...Kamal e Samar...

Siamo partiti in moto da Aleppo. Era notte fonda. Vicino al confine abbiamo iniziato a sentire degli spari, ci siamo spaventati e siamo scappati a piedi. Siamo rimasti fermi per due ore, senza fiatare, nascosti dietro dei cespugli. Abbiamo lasciato tutto lì, le valigie, la tenda che avevamo con noi”...
Kamal ha 48 anni, è in Libano dalla fine di aprile 2013. Adesso vive nel campo di Qubb Elias, vicino a Chtoura, nel cuore della valle della Bekaa, dove ci sono circa 1500 persone. Ha una moglie e quattro figli da mantenere. Condivide la tenda con un’altra famiglia, sono in dieci a dormirci dentro.
 “Abitavamo nel distretto di Shaikh Said vicino ad Aleppo. Vendevamo frutta e verdura spostandoci per i villaggi della zona. Adesso ogni tanto qualcuno di noi trova un lavoro a giornata nelle campagne vicine. Quando siamo arrivati qui avevamo solo qualche soldo in tasca, la carta di identità e un pacco di pane recuperato per strada. Siamo entrati illegalmente, non siamo registrati con le Nazioni Unite. Sono due mesi che ci proviamo, ma è impossibile. Continuiamo a chiamare, a fare lunghe file negli uffici locali, ma siamo troppi ormai e, per ora, tutti in attesa. Vorremmo almeno avere dei buoni alimentari per comprare un po’ di riso e il pane. I nostri bambini qui nel campo spesso stanno male: l’acqua che bevono è sporca, hanno mal di pancia, vomitano. Non possiamo portarli nemmeno in ospedale, qui costa troppo”, continua Kamal.
 Accanto c’è sua moglie Samar, ha 40 anni, un velo a fiori in testa e la pelle cotta dal sole. La loro terza figlia ha 13 anni, è sorda e non riesce a parlare, fissa l’ingresso della tenda con gli occhi sbarrati, immobile. “È nata così”, racconta Samar, “io e mio marito abbiamo provato a farla curare, ma i medici ci hanno detto che non avrebbero potuto fare nulla”.
 Ogni famiglia in questo campo spera che almeno uno dei suoi membri riesca a portare a casa qualche lira la sera quando rientra. Chi riesce a lavorare come bracciante agricolo tira su 7.000 lire libanesi, appena cinque dollari al giorno. Nessuno manda i bambini a scuola.
 “Ci andavano tutti in Siria, ma qui non siamo neanche registrati. Siamo arrivati tre mesi fa, la scuola era già iniziata da tempo. Nel campo non abbiamo neanche un foglio per fare disegnare i bambini”, interviene Kamal.
 Ogni comune libanese registra i nuovi arrivati nei campi sul suo territorio, anche se non sono ufficialmente inseriti negli elenchi dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Molti siriani temono di essere censiti presso le Nazioni Unite per paura di non poter rientrare più in Siria.
 Alle domande dirette però si chiudono. “Noi siamo scappati, non c’entriamo niente con i combattimenti”. Un uomo si affaccia dall’ingresso della tenda e borbotta: “Prima stavamo al sicuro, ma ci hanno bombardato le case. Abbiamo reagito. Ci hanno costretto ad andare via e ci hanno tolto la nostra Siria”...
(Focus on Syria)

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