Donne e nonni, le voci della protesta del Venezuela di oggi...






Marco Buomi

Si parla troppo poco di Venezuela e di tutto quello che sta accadendo da quel 4 aprile 2017, giorno in cui sono iniziate le prime proteste e manifestazioni, nelle strade delle città venezuelane. Eppure il Venezuela in passato è stato un paese di forte emigrazione per molti italiani alla ricerca di fortuna all’estero, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, tanto che nel 1961 costituivano la comunità straniera più numerosa. Oggi il 10% della popolazione è di origine italiana. Da quasi vent’anni il paese è in una situazione di  forte crisi economica che ha portato le classi più deboli, ma anche le classi medie, a uno stato di povertà tale che reperire beni di sussistenza è quasi impossibile.
Sin dalla proclamazione della Costituzione Bolivariana, nel 1999, il Venezuela è stato politicamente spaccato in due: il governo Chavista ed i suoi sostenitori da una parte e tutti coloro che desiderano la fine dei 18 anni di potere del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) responsabili della graduale disgregazione delle istituzioni democratiche dall’altra. Dopo la morte di Chavez e l’elezione del suo delfino Nicolas Maduro sono emersi gravi problemi economici, derivanti dalle politiche di Chavez, che hanno portato il governo a razionare cibo e medicine. La situazione economica, unita ad accuse di corruzione e cattiva gestione del paese, ha trascinato il paese verso forti proteste popolari già dalla seconda metà del 2013. Le politiche economiche e sociali chaviste prevedevano, infatti, l’investimento dei proventi derivanti dalle esportazioni petrolifere in azioni mirate alla riduzione della povertà dei venezuelani più indigenti. Il petrolio, infatti, copre circa il 95% delle esportazioni nazionali e finanzia i programmi sociali governativi che, stando alle stime ufficiali, hanno dato, ad oggi, una casa ad un milione di venezuelani poveri. Il crollo del prezzo del petrolio ha, però, gravemente compromesso gli investimenti ed obbligato il governo ad apportare tagli significativi alle politiche sociali.
A questa situazione di incertezza economica si è infine aggiunta la recente virata antidemocratica da parte delle istituzioni politiche vicine al presidente chavista. In conseguenza di ciò, le proteste sono riprese con nuovo vigore e proseguono ininterrotte dallo scorso aprile dopo che la Corte Suprema di Giustizia ha emesso una sentenza con la quale esautorava l’Assemblea Nazionale, (controllata dall’opposizione) ed i suoi rappresentanti assumendo il controllo dell’organo legislativo. Questo provvedimento, minando il principio democratico fondamentale della divisione dei poteri, ha portato di fatto il paese ad un passo dalla dittatura.
Per questo i venezuelani hanno deciso di prendere una posizione forte e di tornare uniti e in massa per le strade di Caracas ed in tutte le altre città venezuelane. Le proteste generali sono iniziate il 4 aprile, pochi giorni dopo la sentenza della Corte Suprema. Ma a differenza di molte altre proteste nel mondo che ho potuto osservare e vivere da vicino, come ad esempio in Birmania nel 2007 dove i monaci prima e poi tutta la popolazione erano scesi in piazza, qui l’anima forte della protesta è formata da categorie di persone che hanno risentito fortemente della crisi proprio per la loro condizione di svantaggio e debolezza nella società venezuelana: le donne, le persone anziane e i giovani.
Proprio le donne, che in un corteo di protesta hanno manifestato vestite di bianco per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica, dai media sono state rappresentate usando un’immagine stereotipata simboleggiata da un'avvenente wonder woman, Caterina Ciarcelluti un’insegnate di fitness di 44 anni.
Caterina Ciarcelluti (wonder woman)
Caterina Ciarcelluti (wonder woman)
Ma in realtà il 6 maggio, a protestare contro il governo, c’erano donne comuni come Maria Alvarez, 57 anni, già sopravvissuta ad un cancro, che non ha rinunciato a protestare perfino dopo il suo ultimo check up e continuerà a farlo finché la sua salute glielo permetterà. Ma anche  donne influenti come Lilian Tintori, moglie del leader del partito centrista venezuelano 'Voluntad Popular' e Mitzi Capriles, moglie del sindaco di Caracas Antonio Ledezma, agli arresti domiciliari.
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Il 12 maggio, invece, è stato il turno dei nonni, respinti in modo violento dalla polizia bolivariana con manganelli e gas al peperoncino. Nonni come Alba Fernandez Torres, 74 anni, ex medico, che protesta per se stessa, per i suoi figli e per i figli di tutti i venezuelani contro un governo colpevole di aver fatto scomparire la classe media e di aver sostanzialmente impoverito il paese.
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Gli studenti, come in tutte le proteste del mondo, anche qui hanno rappresentato una grande forza di opposizione e hanno svolto un fondamentale ruolo di supporto nelle manifestazioni contro il regime di Maduro. Caso singolare è il movimento della Croce Verde, un centinaio di studenti della facoltà di medicina della UCV (Università Centrale del Venezuela) che si inseriscono spontaneamente nelle proteste per portare soccorso ai feriti con medicinali che vengono spediti dall'estero perché in Venezuela è impossibile trovarne.
Studenti della facoltà di medicina
Studenti della facoltà di medicina
Questa situazione è testimoniata in un’intervista rilasciata alla BBC da Miguel Pizarro, 29 anni, deputato dell’opposizione la cui sorella è stata costretta ad andare all'estero per curarsi proprio a causa della mancanza del farmaco che impediva al suo tumore di crescere. Farmaco che dal 2014 non viene più prodotto ne tanto meno importato nel paese. Adesso la sorella di Miguel abita all'estero in un piccolo appartamento, immigrata irregolare, paralizzata. Miguel e la sua famiglia le inviano i soldi necessari per acquistare le medicine che la tengono in vita e parlano con lei attraverso lo schermo di uno smartphone.
Ma ce la testimonia bene anche la morte di Juan Pablo Pernalete, un giovane venezuelano di 20 anni, che, come racconta la madre Elvira in un’intervista, voleva diventare il migliore giocatore di basket del mondo, giocare nel NBA e diventare ricco e vivere in pace e in buona salute insieme alla sua famiglia e ai suoi amici. Juan Pablo è stato ucciso lo scorso 27 aprile, mentre protestava insieme ai suoi connazionali per le strade di Caracas per chiedere elezioni anticipate, la creazione di corridoi umanitari per le importazioni di medicinali, il rilascio di tutti i prigionieri politici ed il ripristino della normale vita democratica.
Questi, e altri non meno gravi, sono i motivi che spingono i venezuelani a continuare ad oltranza nella protesta contro il governo Maduro. Ogni giorno, nonostante il pericolo costituito dalla feroce repressione da parte dell’esercito e dei colectivos, truppe d’assalto che, assieme ai militari raggiungono il numero di circa 580 mila unità, pronte ad agire in difesa della “rivoluzione chavista” come previsto dal piano strategico civile militare di Maduro, il piano Zamora, messo in atto lo scorso 18 aprile per garantire il funzionamento del paese, la sicurezza e l’ordine interno.
Alle pressanti richieste della popolazione di vere riforme democratiche per riportare la pace nel paese, la risposta di Maduro è stata quella di costituire un’assemblea costituente che neutralizzasse l’opposizione, da sempre accusata di elitarismo, di arricchirsi a discapito del popolo e di complottare insieme agli Stati Uniti per sovvertire il governo. Secondo le parole di Nicolas Maduro la costituente sarebbe “femminista, giovanile, studentesca, indigena e soprattutto operaia”. Secondo l’opposizione e Julio Borges, leader dell’Assemblea Nazionale, essa costituirebbe invece un tentativo di rimandare le elezioni regionali e generali previste per dicembre 2018 e di rafforzare i poteri dell’esecutivo a discapito di quelli del legislativo. Essa favorirebbe, infatti, il definitivo smantellamento della democrazia attraverso il conferimento di potere costituzionale alle cosiddette comunas, organizzazioni di base fedeli al PSUV, strutture parallele volute da Chavez per limitare l’accesso alle risorse dello stato soltanto a quelle comunità a maggioranza chavista.
In questo clima di incertezza e di forte crisi politica ed economica, cresce la preoccupazione a livello internazionale riguardo soprattutto la possibilità di instaurare un dialogo costruttivo con il governo di Nicolas Maduro. Possibilità che appare assai remota, in questo momento. Da un lato, infatti, i possibili mediatori, i cosiddetti quattro presidenti (Jose Luis Zapatero, Martin Torrijos, Leonel Fernandez ed Ernesto Samper) sono ancora oggi legati da rapporti economici o di amicizia con il governo venezuelano e con lo stesso Chavez, quando era in vita; dall'altro, l’opposizione ha ormai perso la fiducia nell'opportunità di aprire trattative con un governo che mentre dichiara di cercare la pace, continua a massacrare il suo popolo e a definire gli oppositori come terroristi finanziati dal governo americano.
In questo momento, anche nella comunità venezuelana presente in Italia c’è un forte movimento di dissenso. Marinellys Tremamunno, giornalista corrispondente italo venezuelana, che ho avuto il piacere di intervistare, nel suo libro Venezuela il crollo di una rivoluzione, uscito nelle librerie in modo quasi premonitore durante i giorni delle prime manifestazioni, spiega in modo chiaro e preciso il Venezuela di oggi ed il forte movimento di protesta contro il governo Maduro. “Da alcuni mesi stiamo vivendo il peggior incubo del Venezuela contemporaneo, purtroppo dobbiamo contare ben 66 morti dal giorno in cui sono iniziate le prime proteste nel mio paese” conclude tristemente Marinellys.
Nel frattempo, nella Tierra de Gracia, come la definì Colombo nel 1498, giovani come Juan Pablo continuano a rischiare la vita o a perderla durante le manifestazioni. Madri come Elvira continuano a piangere i loro figli. Maria ed Alba continuano a recarsi in piazza, insieme a migliaia di altre donne e uomini di tutte le età, ogni giorno, e Miguel continua ad aspettare il momento in cui sua sorella potrà rientrare nel suo paese a combattere la sua personale guerra contro la malattia vicina all'affetto dei suoi cari, convinto che sia sua responsabilità impegnarsi per trasformare il dolore, invece che in odio e sete di vendetta, in energia. Energia per il cambiamento...
(L'Espresso)

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