Quel silenzio sulla Siria che deve farci paura...




Dal 23 febbraio a Ginevra negoziati sulla Siria targati Onu. Dopo la tregua nei combattimenti e la pre trattativa di Astana, in Kazakistan, il mondo da Ginevra si aspettava qualcosa di simile ad un accordo di pace. Almeno tra forze governative e ribelli ‘moderati’ in attesa della sconfitta delle formazioni jihadiste a partire da Isis. Ne avete sentito parlare? Noi no. Silenzio stampa assoluto. Ed è pessimo segnale.



Prima le tregua di volontà russa, poi la pre trattativa di Astana tra parti in conflitto ma non troppo nemiche con la madiazione turca e iraniana assieme a Mosca, gran finale e Ginevra sotto la bandiera Onu a trasformare una fragile tregua in un pur difficile avvio di pace. Invece, un silenzio da triller, di quelli che fanno paura.
Quanche osservatore internazionale attenti, ed esempio Bernard Guetta, di France Inter, che ancora crede nei miracoli, scrive che salvo quelli, «al momento pare molto difficile che si arrivi a una soluzione».
«Stavolta i rappresentanti del regime siriano e dell’opposizione siedono faccia a faccia, e questo è il lato positivo. Ma ci sono anche diversi problemi».
Diversi problemi, quali?
1. Il cessate il fuoco del 30 dicembre, dopo la caduta di Aleppo, è talmente fragile che i combattimenti continuano in diverse province siriane nonostante la Russia avesse chiesto la fine dei bombardamenti da parte dell’aviazione di Damasco per tutta la durata del negoziato.
2. Bashar al Assad che ha riconquistato un vantaggio sul terreno grazie all’appoggio dell’aviazione russa e delle truppe inviate dall’Iran, è sempre meno disposto a farsi da parte o a fare concessioni politiche.
«Certo, Assad potrebbe inserire alcuni esponenti dell’opposizione a sua scelta nel governo, incaricandoli di occuparsi dei lavori pubblici o dell’istruzione, ma che fine hanno fatto il governo di unità nazionale, le elezioni libere e la nuova costituzione promessi dalla Russia?».
Interessi divergenti
Intransigenze contrapposte a Ginevra. Quelle delle parti siriane e confronto, ma più pesanti anche se non ufficialmente espresse, quelle dei diversi garanti e tutori esterni. Iraniani turchi e russi, che insieme sono riusciti a salvare il regime, ma ora non sono d’accordo sul futuro della Siria perché i loro interessi sono divergenti.
Gli iraniani vogliono un controllo totale sulla Siria per renderla, attraverso l’Iraq a maggioranza sciita, un ponte verso il Libano e consolidare l’asse sciita che hanno costruito in territorio arabo. In Siria, l’Iran sciita vuole affermarsi come potenza regionale attraverso al ramo alawita a cui appartiene la famiglia Assad.
La Russia, non vuole impantanarsi in questa guerra di religione, che in fondo non è altro che l’eterna guerra di influenza tra l’antica Persia e l’Arabia Saudita.
Triangolo tra tutori poco garanti
Mosca deve affrontare anche lo scontro, gli interessi divergenti tra gli alleati iraniani e turchi. Guetta, «La Turchia sunnita, infatti, non vuole permettere all’Iran sciita di controllare la Siria. Per non parlare dell’equazione curda».
E la Russia si ritrova sommersa dalle complicazioni e doppiezza tipiche del Medio Oriente, che, parere di molti, hanno già spinto gli Stati Uniti a ritirarsi dalla regione concentrando i loro sforzi contro il gruppo Stato islamico, ‘e poi se l’arrangino tra loro’. Peccato che se li lasci soli, la guerra che è oggi contro Isis, sarebbe il giorno dopo tra gli alleati di oggi anti Califfo.
In Siria, Mosca vorrebbe un compromesso tra il regime e l’opposizione per uscire dall’avventura col l’alone di artefice di pace e con solide basi militari e lucrosi accordi economici che la fanno nuova superpotenza di area, a sostituire gli statunitensi in ritirata.
Ora tregua in forse
Ma intento anche la tregua è in forse. I ribelli jihadisti -Isis e al Qaeda nelle sua trasformazioni-hanno lanciato il più violento attacco a Homs da tre anni a questa parte, da quando la città fu riconquistata dalle truppe governative. Cinque kamikaze hanno attaccato una base militare e la sede dei servizi di sicurezza in città.
Le vittime accertate finora sono 42, fra loro anche il comandante dei servizi di sicurezza provinciali, il generale Hassan Daaboul. L’attacco è stato rivendicato da gruppo jihadista Hayat al-Tahir al-Sham.
Nella parte orientale della provincia, che comprende anche il distretto di Palmira e i maggiori giacimenti di petrolio e gas della Siria, è invece presente l’Isis. Gli islamisti del Califfo nero sono però sulla difensiva dopo il blitz che li ha portati a dicembre a riconquistare Palmira...

(RemoContro)

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