“Così si viveva sotto l’Isis”...





Aleppo, 9 gennaio. Prima ha pagato 400 dollari a un passatore che conosce le piste del deserto. Con lui altri due. Quando è arrivato, di notte, nei pressi delle zone controllate dai curdi, nel Nord della Siria, il gruppetto è stato preso a fucilate perché i peshmerga temevano di veder arrivare terroristi con le cinture esplosive. Uno dei suoi compagni è stato ferito a una gamba, così hanno dovuto tornare indietro, raggiungere un villaggio e qui pagare un altro passatore che facesse loro passare la notte al riparo e poi superare la linea. E’ questo il modo che Riad, 32 anni, una laurea in Letteratura turca, ha trovato per lasciare Mayadin, una delle città siriane al confine con l’Iraq ancora dominate dall’Isis, dov’era rimasto bloccato dopo che l’Isis, nel 2014, aveva preso il controllo della zona.

Assai vicina al confine con l’Iraq e poco lontana da quello con la Turchia, Mayadin si trova lungo la strada che prosegue dritta per Deir Ezzor (da due anni assediata dall’Isis) e per Raqqa, la capitale di Al Baghdadi. Riad può quindi raccontare dal vivo che cosa succede nel cuore del Califfato, dove peraltro ha lasciato la madre, due fratelli maggiori e uno stuolo di cugini.
“Io non ne potevo più”, dice Riad. “Con quelli tutto può capitarti in ogni momento della giornata. Ho sempre cercato di essere prudente ma, nonostante questo, mi sono toccati due periodi di un mese nei campi di rieducazione. Prima giorni e giorni di indottrinamento. I temi preferiti erano: perché Egitto, Siria, Italia, Usa e moltissimi altri sono Paesi di miscredenti; perché è lecito bruciare vive certe persone, come il pilota giordano o i due piloti turchi; perché è giusto sgozzarne altre; perché è doveroso impedire alle persone di lasciare i luoghi abitati dai musulmani per andare in quelli dove abitano i miscredenti. Continue citazioni di Ibn Taimiya (un giureconsulto dell’islam medievale, riscoperto dai wahabiti e dai salafiti e noto per aver emesso una fatwa che consente il jihad contro altri musulmani, n.d.r), le stesse cose ripetute per ore”.

Corsi di religione, insomma…
“No. Poi veniva fuori il vero scopo. In questi campi c’erano circa 300-400 uomini, che venivano poi trasferiti a Deir Ezzor e messi a scavare trincee e gallerie nell’aeroporto, che per una parte è occupato dall’Isis. Lavori forzati per il jihad, insomma. Finito con un gruppo se ne faceva arrivare un altro. Tanto non c’era modo di ribellarsi, per molto poco si rischiava la morte”.
E tu perché sei finito nel campo?
“Mi hanno fermato perché avevo la jellaba (la tradizionale tunica islamica, n.d.r) troppo corta sulle caviglie. Una scusa, ovvio”.
È davvero così pericoloso vivere sotto i miliziani dell’Isis?
“Si, certo. Tra quelle capitate a miei amici o conoscenti e quelle che mi sono state raccontate, ho decine di storie da far venire i brividi. So, per esempio, di un ragazzo che ha deciso di arruolarsi tra i soldati dello Stato islamico. Il padre si opponeva in tutti i modi, l’ha insultato, hanno litigato. Allora il ragazzo ha denunciato il padre, che è stato poi giustiziato in pubblico. Un mio amico, invece, ha litigato con un miliziano saudita. Sono venuti a prenderlo, l’hanno torturato, l’hanno ucciso e poi l’hanno esposto in piazza. Sul cadavere avevano appeso un cartello: “Ha insultato un combattente dell’islam”. E tanti altri casi”.
Quindi arruolarsi conviene.
“Dipende. Se ad arruolarsi è un siriano, il suo salario è di 100 dollari al mese. Quelli che vengono dall’estero, tunisini, turchi, sauditi ed europei, prendono molto di più, non meno di 500 dollari. Sono comunque grandi somme, per come si vive da quelle parti. E poi c’è una netta differenza nel trattamento. Siriani ed iracheni rischiano molto di più perché vengono quasi sempre spediti al fronte, a combattere. Nei ruoli di comando e in quelli di amministrazione ci sono quasi sempre gli stranieri, che così rischiano meno. E’ un sistema che adottano anche per non perdere il controllo della situazione, per non essere traditi”.
E chi è che controlla voi, la popolazione?
“Ci sono due polizie. La prima è quella chiamata Sicurezza, che si occupa dei costumi. Portare i jeans, avere la barba troppo corta, infrazioni come questa. Come dicevo, servono soprattutto a rastrellare uomini da far lavorare gratis. La Sicurezza fa continui controlli anche nei due punti internet della città. Se vieni sorpreso a guardare siti anti-Isis o pornografici, c’è la pena di morte. Se hai canzoni memorizzate sul telefonino prendi 40 frustate. Se una donna ha gli occhi troppo scoperti, multa di 2 grammi d’oro. E poi c’è la polizia vera e propria, quella che dovrebbe occuparsi dei criminali e che non conta niente”.
Ma la città funziona? Il commercio, le fabbriche…
“La nostra zona, come quella di Deir Ezzor, vive sul petrolio. E sul petrolio vive l’Isis, che lo commerciava con la Turchia”.
Commerciava? Al passato?
“Si. Prima i turchi avevano lasciato libero il tratto di confine tra le città di Tall Abyad e Jarablus (in Siria, appunto sul confine, n.d.r) e lì avvenivano tutti gli scambi: petrolio per denaro, armi, munizioni. Da quando Russia e Turchia si sono messe d’accordo, quel confine è chiuso e quindi per il traffico del petrolio tutto è più complicato. Quelli dell’Isis, in questi anni, hanno continuato a estrarre petrolio ma con mezzi sempre più rudimentali. L’inquinamento, che era già forte, è aumentato a dismisura. Sono convinto che sia per questo che i tumori sono tanto aumentati: da 40 casi al mese del 2014 ai 180 al mese di adesso. Lo so perché lavoro part time in un laboratorio di analisi e i malati, adesso, finiscono quasi tutti all’ospedale di Mayadin che, tra quelli ancora sotto l’Isis, è il più efficiente”.
Ma se è finita la pacchia del petrolio, da dove arrivano i soldi dell’Isis?
“In questi due anni hanno accumulato molti soldi. Per esempio, hanno dato libertà di scavo ai tombaroli, che hanno saccheggiato i siti archeologici. Il patto è questo: un terzo del valore al tombarolo, due terzi all’Isis. Se uno fa il furbo e prova a mettersi in proprio, pena di morte. E poi, naturalmente, c’è anche un certo commercio perché ai negozianti è permesso di entrare e uscire dalla Siria per procurarsi le merci. Così l’Isis guadagna due volte: con le bustarelle e con le tasse. Anche in questo caso lo so bene perché uno dei miei fratelli ha un negozio ed è lui che, alla fine, mantiene tutta la famiglia”.
E l’altro tuo fratello?
“Faceva il giornalista ma ora fa il taxista con un motorino”.
Ma secondo te, perché l’Isis riesce a resistere così tanto?
“Perché è aiutato”.
E da chi?
“Noi tutti, lì, siamo convinti che siano gli americani. Quasi tutti i giorni sentiamo volare degli elicotteri e poi vediamo arrivare in città dei carichi di rifornimenti. E chi può essere, in quella regione, a volare liberamente se non gli americani?”.
Ma secondo te, l’Isis sarà alla fine sconfitto?
“Sì. Spero entro quest’anno”...
(Gli Occhi della Guerra)

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