IRAQ/SIRIA. Oltre 60mila nuovi profughi. Le barricate di Baghdad contro l’Isil...





Le città siriane vicine al confine target dello Stato Islamico. Bombardata Mosul, ma sia Maliki che Obama negano un coinvolgimento. Al-Sisi contro Barzani: “Indipendenza del Kurdistan? Una catastrofe”.
 Nena News – Oltre 30mila nuovi rifugiati: è il drammatico bilancio dell’avanzata islamista in Siria. Ieri l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani ha fatto sapere che lo Stato Islamico di Al-Baghdadi ha forzatamente espulso decine di migliaia di siriani dalla città orientale di Shuheil, vicino al confine con l’Iraq, in precedenza roccaforte del gruppo islamista dl Fronte Al-Nusra, oggi avversario dell’Isil. In un video pubblicato da alcuni attivisti su YouTube si vedono dei miliziani annunciare i termini dell’espulsione: i cittadini di Shuheil devono abbandonare le armi e uscire dalla città fino a quando l’Isil la riterrà sicura.
Nuovi profughi che si aggiungono ai 30mila espulsi dalle comunità di Kosham e Tabia Jazerra, nella provincia siriana di Deir Ezzor, quasi completamente nelle mani dei jihadisti che nel fine settimana hanno assunto il controllo di due importanti giacimenti petroliferi, Al-Omar e Al-Tanak.
Il permeabile confine tra Siria e Iraq è ormai ampiamente gestito dall’Isil, che fa passare con estrema disinvoltura armi e miliziani. Il controllo su fondamentali pozzi di petrolio al di là e al di qua della frontiera garantisce loro un’immensa ricchezza, ma soprattutto la sostanziale capacità di distruggere le basi economiche e politiche del regime di Baghdad, alle prese con lo stallo del parlamento.
Nelle ultime ore, sul terreno, proseguono i tentativi dell’esercito iracheno di arginare l’offensiva islamista. Nella provincia di Diyala, a Est, occupata nelle scorse settimane dalle milizie dell’Isil, le truppe di Baghdad hanno innalzato barricate per impedire l’ulteriore ingresso di miliziani. Secondo funzionari dell’esercito, la barricata sarebbe stata costruita vicino alla città di Adeim. A sostegno delle truppe governative (nelle prime settimane di avanzata completamente allo sbando a causa della pericolosa destrutturazione imposta durante gli anni dell’occupazione militare statunitense) stanno combattendo circa due milioni di volontari sciiti, reclutati dal premier Maliki, ma soprattutto dall’autorità politica del religioso Moqdata al-Sadr, di nuovo concreta minaccia al primo ministro bersagliato oggi da ogni fronte.
Ieri pesanti bombardamenti hanno colpito la città di Mosul, la prima comunità irachena ad essere occupata dall’Isil. Testimoni sul posto hanno parlato di almeno tre serie di bombardamenti, ma sia il governo di Baghdad che l’amministrazione di Washington hanno negato un qualsiasi tipo di coinvolgimento. “Almeno quattro case sono state distrutte, due intere famiglie hanno perso la vita”, ha raccontato alla stampa un ex ufficiale dell’esercito in pensione e residente a Mosul. Secondo fonti mediche, almeno sette persone sono morte nei bombardamenti, una trentina i feriti. L’ex funzionario militare ha aggiunto che l’aereo che ha colpito Mosul era probabilmente un C-130 statunitense in dotazione all’esercito iracheno.
Sul fronte politico non sembrano ricomporsi le spaccature interne alla classe politica irachena. Il parlamento dovrà incontrarsi di nuovo questa settimana per tentare di nominare il proprio presidente, ma sunniti e curdi (insieme ad una buona parte di fazioni sciite) non intendono rendere le cose facili a Maliki. La spaccatura dell’Iraq pare segnata, sia a livello politico che territoriale. Una parte del paese è chiaramente in mano all’Isil e ai petroldollari in arrivo costante dall’Arabia Saudita; una parte – la capitale e il Sud – restano debolmente sotto il controllo governativo; il Kurdistan si attribuisce l’indipendenza tanto anelata. Dopo la presa di Kirkuk e il controllo di numerosi giacimenti di petrolio a Nord, il presidente della regione autonoma curda, Barzani, ha annunciato un prossimo referendum sull’indipendenza definitiva da Baghdad.
Una prospettiva appoggiata concretamente da Ankara, ma che ieri ha ricevuto la condanna del nuovo presidente egiziano Al-Sisi, che giudica la separazione “una catastrofe” perché renderebbe definitiva la divisione dell’Iraq in “piccoli staterelli rivali”. Il timore dell’ex generale, che ha trascorso l’ultimo anno a reprimere e cancellare dalla vita politica egiziana i Fratelli Musulmani, teme il contagio: prima l’Iraq, poi la Giordania (che ieri al-Baghadi ha indicato come il nuovo target del gruppo) e infine l’Egitto.
Certo è che il gruppo jihadista continua a crescere in numero e potenzialità, grazie al sostegno dei Paesi del Golfo che lo hanno finanziato in Siria e che oggi puntano a Baghdad, Stato satellite dell’asse sciita guidato dal nemico Iran.


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