Gaza, Khaled Meshaal: il capo di Hamas...



Deve la sua fortuna a un attentato fallito del Mossad. Vuole diventare il nuovo Arafat. Chi è il leader del movimento.

IL PROFILO





Poco più di un anno fa, nel febbraio del 2013, le immagini della sua vita quotidiana, catturate dall'obbiettivo della fotografa Kate Geraghty e pubblicate dal Sydney Morning Herald, fecero rapidamente il giro della Rete, suscitando scalpore e polemiche tra gli utenti arabi (e non solo) dei social network.
UN LEADER A 5 STELLE. Gli scatti lo ritraevano mentre passeggiava in spiaggia con i bambini al tramonto; intento a fare sport e a giocare a ping pong nelle sale di una lussuosa residenza di Doha, in Qatar, protetto dagli uomini della scorta; seduto alla scrivania del suo ufficio con un cesto di frutta davantii, giacca nera e camicia celeste.
Khaled Meshaal, capo dell'ufficio politico di Hamas, il movimento di resistenza islamica che governa nella Striscia di Gaza, riconfermato nell'incarico ad aprile 2013, non ha praticamente mai vissuto in Palestina. Ci è tornato per le prima volta alla fine del 2012, dopo un'assenza durata più di 10 anni, per poi tornare poi a Doha dove attualmente risiede.

L'inizio della carriera con i Fratelli musulmani

Nato a Silwad, in Cisgiordania, nel 1956, fratello maggiore di 11 figli, durante la guerra dei Sei giorni, nel 1967, si trasferì con la famiglia prima da Amman, in Giordania, poi in Kuwait. Nell'emirato conseguì la laurea in Fisica prima di trasferirsi nuovamente ad Amman, durante la guerra del Golfo, e poi a Damasco, nel 2001.
Meshaal ha cominciato la sua attività politica militando nell'organizzazione dei Fratelli musulmani prima di dare vita, insieme con altri allora giovani dirigenti, a Hamas, nata alla fine degli Anni 80 come branca politica palestinese dell'organizzazione egiziana.
IL FALLITO ATTENTATO DEL MOSSAD. Ma prima ancora che la sua biografia politica, fu un'operazione fallita del Mossad, a metà degli Anni 90, a fare di lui una sorta di leggenda agli occhi di molti militanti di Hamas.
Nel 1997, una decina di agenti del servizio segreto israeliano si introdussero in Giordania con l'obiettivo di eliminarlo. Riuscirono a spruzzargli una sostanza velenosa nell'orecchio, ma le autorità giordane sventarono l'attentato e dopo una lunga trattativa con Israele, mediata dall'allora presidente Usa, Bill Clinton, ottennero l'antidoto per salvarlo. L'operazione si risolse con il rilascio degli agenti israeliani in cambio della liberazione di Shaykh Ahmed Yassin, fondatore e leader spirituale di Hamas.
«IL MARTIRE NON MORTO». Da allora, Meshaal è «il martire che non è morto», ha scritto il giornalista inglese Paul McGeough nel libro Kill Khaled, pubblicato nel 2009, che ricostruisce la storia dell'attentato. Meshaal «è diventato martire in un gruppo che venera i martiri e l'ha fatto senza l'inconveniente di morire».

Con Marzuq e Hanyeh la generazione di mezzo di Hamas

La storia politica di Khaled il «sopravvissuto» inizia dunque in Giordania.
«Meshaal fa parte di quella generazione di mezzo che ha rappresentato il cambiamento all'interno dei Fratelli musulmani palestinesi», spiega aLettera43.it Paola Caridi, che ha studiato a lungo l'organizzazione e ne ha ricostruito la nascita e lo sviluppo nel libro Hamas. Cos'è e cosa vuole il movimento radicale palestinese.
IL NUOVO CORSO DEL MOVIMENTO.«Nel periodo fra gli Anni 70 e gli Anni 80 si assiste alle sconfitte di Fatah, dal Settembre nero in Giordania alla cacciata di Arafat da Beirut. I giovani rappresentanti dei Fratelli musulmani palestinesi, tra cui Meshaal, decisero che era necessario partecipare alla guerra di liberazione nazionale palestinese, sia in chiave politica sia in chiave armata, stabilendo delle alleanze con i Paesi arabi ma senza entrare, come invece aveva fatto Fatah, negli affari interni di altri Paesi come il Libano e la Giordania».
L'ALA PRAGMATICA. Khaled, Abu Marzuq, Ismail Haniyeh rappresentavano e rappresentano tuttora l'ala più «pragmatica» del movimento, più permeabile a cambiamenti di strategia, non solo di tattica, a differenza dell'ala più radicale dell'organizzazione che non ha mai cambiato posizione nei confronti di Israele.
Sebbene nel corso degli anni, da parte di alcuni esponenti del movimento ci siano state velate aperture nei confronti di Israele, l'organizzazione comunque non ha mai accettato formalmente gli accordi di Oslo e i confini del '67.

La fine della stagione degli attentati e le elezioni del 2005

Nel 2005, Hamas procedette a una ampia consultazione interna per decidere se partecipare o meno alle elezioni politiche. La linea della «generazione di mezzo», spiega Caridi, ebbe la meglio. L'anno successivo il movimento partecipò alla tornata elettorale, vincendola.
Contestualmente, furono sospesi gli attentati suicidi, tattica brutale che il movimento aveva adottato a metà degli Anni 90 non solo per colpire Israele ma anche per indebolire l'Autorità nazionale palestinese e boicottare gli accordi di Oslo.
LA RISPOSTA ALLA PRIMA STRAGE DEL 94. «Gli attacchi erano stati decisi nel 1994», racconta Caridi. «Il primo è successivo alla strage nella moschea di Hebron nel febbraio 1994 compiuta da un radicale israeliano. Quaranta giorni dopo ci fu il primo attentato suicida».
Meshaal era stato un forte sostenitore degli attacchi, ma nel 2005 si schierò per la loro sospensione. Il capo, del resto, non è nuovo a cambi di posizione e capriole politiche che ne hanno garantito la permanenza al potere fino a oggi.
Sarebbe fuorviante però pensare a Meshaal come leader unico e carismatico dell'organizzazione, colui che ne decide linea e strategie.
UN'ORGANIZZAZIONE DI MASSA. «Le strategie soprattutto non le decide una sola persona. Hamas è una vera organizzazione di massa, ha una struttura interna che potremmo definire simile al centralismo democratico», spiega l'esperta. «C'è sempre una consultazione quando si tratta di prendere decisioni strategiche, come fu per esempio la partecipazione alle elezioni, che non vengono mai prese da un uomo solo».
All'ufficio politico si affianca un consiglio allargato, e poi ci sono i militanti organizzati sul territorio «in quattro vere e proprie circoscrizioni: Cisgiordania, Gaza, Estero e carceri».
Meshaal, che è uno dei pochi capi di Hamas a non aver studiato in Europa o in Occidente, è l'uomo che tiene i rapporti con i leader politici della regione.
IL TESTIMONE COL CAPO. Quando nel 1995 l'allora capo politico del movimento, Abu Marzuq, venne arrestato e trasferito in un carcere Usa, Khaled ne prese il posto. Una volta rilasciato, Marzuq è stato "declassato" a numero due dell'organizzazione, ma per molti è lui il vero stratega del movimento.
Marzuq, che proviene dai campi profughi di Gaza, «è stato sempre il mediatore con l'Egitto», dice Caridi, «e non è stato cacciato dal Paese neanche dopo la destituzione di Morsi e il ritorno al potere dei militari, segno della sua capacità di far dialogare i diversi attori in campo, tant'è che è lui il grande mediatore del governo di unità con Fatah».

L'ambizione di diventare Mr Palestine

L'enigmatico Meshaal però sembra essere più ambizioso del suo vice. Il suo vero obiettivo, dicono molti esperti di cose mediorientali, è accreditarsi non solo come leader di Hamas ma di tutti i palestinesi. Diventare, in una parola, quello che solo Arafat è stato: Mr Palestine.
L'ACCORDO CON FATAH. Anche in questa ottica va letto l'accordo tra Hamas e Fatah che tanto ha spaventato Israele: il tentativo dell'organizzazione islamica di entrare nell'Olp (organizzazione per la liberazione della Palestina), dove a oggi non è rappresentata, e ricostruire una unità palestinese. «Una unità», conclude Caridi, «che metterebbe in discussione il processo di pace che era giocato formalmente con l'Olp, ma di fatto con solo una delle fazioni in campo, cioè con Fatah».
Questo sempre che l'accordo tra le due fazioni palestinesi regga e che gli equilibri interni a Hamas non cambino profondamente.
PIÙ POTERE AL BRACCIO DI GAZA. Disciolta la centrale di comando unica siriana dell'ufficio politico estero, infatti, con i suoi rappresentati riparati in diversi Paesi dell'area, negli ultimi anni all'interno dell'organizzazione si è rafforzato il potere del gruppo che risiede e comanda a Gaza.
Nella Striscia, Hamas, che è un movimento confessionale, governa in maniera autoritaria e con piglio dittatoriale, cercando di imporre la legge islamica, mettendo all'indice alcuni libri, vietando comportamenti considerati contrari ai precetti religiosi, promuovendo la segregazione tra uomini e donne.
E nel 2003 l'Unione europa ha inserito Hamas nella black list delle organizzazioni terroristiche.
Venerdì, 25 Luglio 2014
(Lettera 43)

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