Mediterraneo, i migranti morti e la pace negata Corpi senza nome. Sepolti nel mare nostrum e lì dimenticati. Le vittime superano le 23 mila. E l'emergenza si riacutizza....





di Barbara Ciolli

Un nome, per lo meno un numero. Servirebbe un grande archivio europeo della memoria, per ricordare le migliaia di vittime del mare nostrum e ridare dignità a un'Europa che chiude gli occhi davanti a una grande fossa comune.
Venti anni fa, furono sempre le acque al largo della Sicilia a ospitare la più grande strage di migranti che si ricordi prima del 2013, con quasi 300 morti. Ma poi servì un lustro per scoprire tutti quei corpi, che dormono ancora senza nome sul fondo del mare.
L'eco mediatica scuote ma non risolve e le operazioni costano. Una settimana dopo le 366 vittime di Lampedusa del 3 ottobre scorso, l'11 settembre un altro barcone si è rovesciato a un centinaio di miglia dall'isola, ma in acque maltesi, con un altro carico di morti.
MORTI SPARITI NEL NULLA. I superstiti, più di 200, raccontano che in mare sono annegati altri 250 loro compagni di viaggio, famiglie intere di cui non si sa più nulla, mentre, con la primavera, ilMediterraneo è tornato ad affollarsi di barconi.
Suona come una bestemmia, ma i parenti del naufragio di Lampedusa, in acque italiane, sono stati fortunati: nonostante tutto, i loro morti sono stati tracciati, ogni corpo ha un numero e con il tempo - volendo - sarà possibile risalire a loro, in uno dei tanti cimiteri della Sicilia che scoppia di morti senza nome. È già qualcosa, per gli oltre 500 stranieri, per lo più eritrei e somali, partiti dalla Libia e affondati, a poche miglia da Lampedusa, su un peschereccio andato a fuoco come un'enorme torcia umana.

I familiari della strage di Lampedusa e del barcone di siriani chiedono giustizia

  • Una nave della Guardia costiera attracca al molo di Lampedusa dopo un salvataggio in mare (Getty Images).
Chi li etichetta come clandestini e morti di nessuno nega la realtà o comunque la ignora.
Più di 600 mail di familiari e amici e altrettante loro chiamate reclamano da mesi risposta alla Croce Rossa. C'è un'inchiesta di mezzo della procura di Agrigento e mille ostacoli si sono sovrapposti tra i morti e i vivi, in un'Europa che erige muri tra i suoi cittadini, figurarsi con chi viene da fuori.
Tutto è bloccato, i corpi riconosciuti con certezza si contano sulla punta delle dita. Per gli altri ci vorranno mesi per le identificazioni, dopo l'interminabile attesa dei parenti sul nulla osta ancora pendente della magistratura, per gli onerosi esami del Dna.
Parecchi di loro avranno gettato la spugna, magari dopo aver contattato le persone sbagliate se privi di un permesso di soggiorno per farsi vivi alle autorità, soldi per gli avvocati e spesso neanche l'istruzione per capire e difendesi da soli. Chi tra loro sostava a Lampedusa, raccontano a Lettera43.it alla parocchia di San Gerlando, se n'è andato via da un po', presi i contatti con le autorità.
NEL 2013 SONO SBARCATI 30 MILA MIGRANTI. Ma almeno i morti del 3 ottobre non sono finiti nel dimenticatoio. Per ogni tragedia nel Canale di Sicilia che fa notizia e scandalizza, decine di cadaveri anonimi approdano in silenzio sulle spiagge italiane, per precipitare nel buio, come i 13 annegati a Ragusa del 30 settembre o i sei morti sulla battigia di Catania del 10 agosto scorso.
Solo nel 2013 la Fondazione Migrantes ha stimato in «oltre 200 i morti accertati nel Mediterraneo, quasi uno al giorno», e i data journalist di Dataninja hanno contato un morto ogni 60 migranti sbarcati in Italia, oltre 30 mila tra gennaio e ottobre scorsi.
  • Una giovane eritrea a bordo della nave della Marina San Marco (Getty Images).
I numeri sono densi di coni d'ombra. Per ogni naufragio tombale che fa clamore, ci sono mille Lampedusa dimenticate e mille Lampedusa sconosciute: ogni strage ha i suoi punti interrogativi, nodi che più passa il tempo più si fa fatica a sciogliere.
Ufficialmente, per esempio, le vittime della strage dei siriani dell'11 ottobre sono 34. Ma i 212 superstiti, soccorsi dalle marine maltese e italiana, hanno mostrato foto di familiari e amici dispersi e detto che quel giorno in mare sono rimasti sepolti 242 profughi siriani e palestinesi come loro, 60 dei quali bambini, «in pasto ai pesci».
Dopo il naufragio, solo grazie ai profughi di buona istruzione e capacità economiche (tra i quali molti medici) presenti a bordo si è potuta ricostruire una dinamica diversa da quella ipotizzata all'inizio, confermata dalle informazioni dei loro cellulari e iPhone.
LA PETIZIONE A BRUXELLES. Quella mattina, all'orizzonte dalla nave si vedeva Lampedusa, ma come ha dimostrato un'inchiesta dell'Espresso, la capitaneria di porto italiana, contattata più volte dai naufraghi, ha rimandato l'allarme alle autorità maltesi competenti per le acque anche se più lontane dall'emergenza, come prevede la procedura.
I soccorsi sarebbero potuti scattare alle 13, invece non si sono visti fino alle 17, quando il peschereccio si era ormai ribaltato. Da allora, i famigliari chiedono alle «autorità italiane e maltesi, al parlamento e al Consiglio europei (Ue)» di ispezionare il relitto, per fare luce sul reale numero dei morti. «Molte persone sono state segnalate disperse dopo la strage, ma sfortunatamente non è seguita alcuna azione per trovarle. Finora nessuno ha esaminato la nave affondata, per restituire i corpi a chi aspetta pazientemente i loro cari», scrive dalla NorvegiaAhmad, capofila della petizione online.

Oltre 600 mail e altrettante chiamate dei parenti: l'archivio della Croce Rossa

  • Due migranti sbarcati a Lampedusa guardano i bagnanti (Getty Images).
Neanche la propaganda per le europee del 25 maggio ha smosso le acque. Bruxelles ha derubricato il caso dei profughi siriani al giugno 2014 e sulla strage è calato il silenzio.
È importante invece avere un appiglio, per i parenti. «Il mio nome è Abraham. Mio fratello è una delle persone annegate. L'ho cercato invano a Lampedusa tra i sopravvissuti e tra i morti. Vorrei chiedervi di aiutarmi, in un modo o nell'altro, a riconoscerlo attraverso il test del Dna. Non è solo una mia richiesta, ma di molti altri. Se non trovassimo i loro corpi sarebbe per noi una nuova tragedia», si appellano alle autorità i famigliari della strage di Lampedusa.
Con 366 morti accertati e circa 20 dispersi (155 i superstiti), il naufragio del 3 ottobre 2013 è catalogato come la più grande tragedia marittima nel Mediterraneo in tempi recenti.
LA RICERCA DISPERATA. In pochi giorni centinaia di richieste sono rimbalzate allo sportello Restoring family link, l'assistenza ai famigliari della Croce Rossa italiana (Cri): 630 mail, 670 chiamate al numero verde e 701 formulari compilati online in inglese. Parenti e amici cercavano le vittime della prima strage di ottobre, ma anche i morti siriani in acque maltesi di pochi giorni dopo, segnalati anche alla Croce Rossa internazionale di Ginevra e alla Mezzaluna rossa musulmana.
«A ognuno è stato risposto personalmente», ha raccontato a Lettera43.it Andrea Pettini, responsabile del servizio di Tracing della Cri, «con il materiale la Croce Rossa ha costruito un archivio di foto e documenti ante mortem dei dispersi. La banca dati resta in nostro possesso. Per aiutare le identificazioni, su richiesta della magistratura può essere incrociata con i riconoscimenti post mortem degli inquirenti e con altre loro informazioni».
  • Un soldato italiano controlla un gruppo di migranti (Getty Images).
La Croce Rossa è un ponte tra le autorità governative e le famiglie, un corridoio neutrale di informazioni che scavalca i confini nazionali, dove le procedure si incagliano. «Aspettiamo ancora la decisione del magistrato di Agrigento se procedere o meno all'esame dei Dna e in quali casi. A gennaio i colleghi di Ginevra sono venuti in Sicilia e ad Agrigento è stato aperto uno sportello fisso della Cri», ha spiegato Pettini, «abbiamo anche creato un piccolo fondo per sostenere i congiunti nelle spese. Sicuramente non basterà ma è qualcosa».
Un delegato della Croce Rossa internazionale in Sicilia dà la misura della dimensione globale e delicata delle operazioni da svolgere.
Dall'Eritrea si fugge spesso per motivi politici e i parenti, se eccessivamente esposti, rischiano ritorsioni. Rimpatriare le salme è poi un passo ancora più complicato, da compiere attraverso le ambasciate.
IL FONDO DELLA CRI. «Per cautela abbiamo evitato che i dati sui dispersi circolassero tra chi si è presentato come amico e magari invece era un governativo. È stata ricostruita una gerarchia dei parenti entrati in contatto con noi», ha concluso il responsabile, «ove necessario l'organizzazione dialogherà poi, come sempre avviene, con tutti i governi, da parte neutrale e nell'interesse esclusivo delle vittime e dei loro cari».
È nella volontà della Croce Rossa contribuire a identificare il maggior numero possibile di morti, comunicando ai famigliari i luoghi delle loro sepolture nelle decine di Comuni siciliani che, per l'emergenza, hanno dato la disponibilità. Oltre ad accompagnare i parenti, se richiesto i volontari li aiuteranno a trasportare le salme fuori dall'Italia e sarà una consolazione.

Da Portopalo a Lampedusa: 20 anni di morti finiti nel nulla

  • La mappa degli sbarchi e dei morti nel Mediterraneo del 2013 (Data ninja, CartoB).
Dal 1988, l'osservatorio Fortress Europe sulle vittime delle migrazioni ha stimato in oltre 19.500 le morti documentate di stranieri diretti in Europa: la stragrande maggioranza ha perso la vita in mare (14.580) e la metà di loro (8.960) non è mai stata recuperata. Solo nel Canale di Sicilia, dove papa Francesco ha gettato corone di fiori, le vittime sono state più di 7 mila, 5.218 i dispersi.
I dati agghiaccianti arrivano dalla rassegna stampa internazionale sui morti alle frontiere europee del blog di Gabriele Del Grande ma le stime dell'Onu, più recenti, non sono più ottimistiche. L'Alto commissariato delle Nazioni Unite (Unhcr), che registra le statistiche dal 2006 attraverso le testimonianze di superstiti e parenti, nell'annus horribilis del 2011 ha denunciato circa 1.500 annegati e dispersi solo nel Mediterraneo in fuga della Primavera araba: «Numeri sottostimati, che potrebbero essere più alti», ammettono gli stessi diplomatici.
23 MILA DECESSI DAL 2000. Incrociando i dati di diverse organizzazioni, i giornalisti del progetto europeo The migrants files, dal 2000 hanno poi contato numeri ancora più alti: circa 23 mila i migranti morti in viaggio, il 50% in più delle cifre note finora.
Val poco incolpare i maltesi. Prima del 2013 la più grande strage di migranti del Mediterraneo (283 morti) a memoria d'uomo avvenne al largo di Portopalo, in provincia di Siracusa, nel Natale del 1996, in acque classificate come internazionali.
In paese in tanti sapevano, ma nessuno parlava. Solo la coscienza di un pescatore siciliano che nel 2001 trovò nelle reti gli indumenti e la carta d'identità di un 17enne cingalese non si trattenne, portando alla luce l'ecatombe. Il giornalista Giovanni Maria Bellu che raccolse il suo racconto, grazie a un robot per la ricerca sottomarina noleggiato da Repubblica dalla cooperativa Nautilus di Vibo Valentia, scoprì poi il relitto esattamente nel punto indicato.
  • Un gruppo di profughi siriani superstiti da un naufragio in acque greche (Getty Images).
Nel 2014, quei corpi al largo di Portopalo riposano in fondo in mare, nonostante quattro premi Nobel (Renato Dulbecco, Dario Fo, Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia) ne avessero chiesto il recupero.
Da Portopalo a Lampedusa, impossibile non sentire le voci di tutti quei morti nel mare nostrum. Il 22 e 23 novembre scorsi, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia forense (Labanof) dell'Università statale di Milano e la Croce Rossa internazionale hanno organizzato la prima conferenza internazionale sui Dead migrants nella sezione di Medicina legale dell'ateneo, chiamando gli addetti ai lavori a superare le divisioni.
Non c'erano tutti. Pur invitata mancava Frontex, l'agenzia europea che vigila sui confini esterni dell'Ue. Ma c'era l'Interpol. E, da Malta alla Grecia, dalla Gran Bretagna alla Francia, c'erano le polizie scientifiche e i rappresentanti delle autorità inquirenti e sanitarie.
NON SI TRATTA SOLO DELL'ITALIA. «I corpi degli stranieri hanno diritto di essere identificati al pari degli italiani», ha commentato a Lettera43.it Cristina Cattaneo, cofondatrice del Labanof, «c'è un'urgenza etico-morale. E poi c'è il problema sociale e sanitario, nei prossimi anni sempre più pressante per l'Europa. Siamo solo all'inizio di questi movimenti, credo».
Non si tratta solo dell'Italia. «Bisogna creare banche dati nazionali dei morti senza nome, molti Paesi non le hanno. E da lì una banca dati sovranazionale, il più completa possibile. È stato fatto a Sarajevo, dove si lavora ancora. Una grande banca dati del Mediterraneo, da incrociare poi con i dati sui dispersi, è un obiettivo difficile, per sua natura anche parziale, ma non impossibile da raggiungere».
Lunedì, 07 Aprile 2014
(Lettera 43)

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