GOLFO. Uccise la sua domestica, condannata a 15 anni...





Khadija Kamel è morta lo scorso ottobre per una polmonite perché la sua padrona, una donna di Dubai, le aveva impedito di curarsi. Sentenza storica che da’ un barlume di speranza ai nuovi schiavi del Golfo 

Roma, 7 aprile 2014, Nena News – Un tribunale di Dubai ha confermato la condanna a quindici anni di carcere per una casalinga emiratina, colpevole di aver maltrattato tre domestiche, una delle quali alla fine è morta. Assieme a lei è stato condannato anche il marito: tre anni per favoreggiamento. In una zona, quella del Golfo, dove la condanna di un cittadino per crimini commessi nei confronti dei moderni schiavi è un evento rarissimo, ora si accende un barlume di speranza per i lavoratori immigrati.
Khadija Kamel, ventenne originaria dell’Etiopia, è deceduta lo scorso autunno per le complicazioni di una polmonite mai curata. La sua padrona, dopo averla seviziata e torturata per mesi, le ha negato le cure dopo che si era ammalata. Costretta a bere pesticidi, ridotta pelle e ossa, fotografata nuda come ricatto per non parlare, picchiata con un bastone, alla fine non ce l’ha fatta. La testimonianza della sua compagna di lavoro, una filippina, ha portato domenica scorsa i giudici a confermare la condanna nei confronti della cittadina emiratina.
La cameriera filippina ha raccontato in aula le sevizie, le “teste sbattute contro al muro fino a farle sanguinare” e la costrizione a bere detersivi. “La padrona – ha detto la donna – mi ha offerto un’enorme somma di denaro per farmi tacere” dopo la morte di Khadija Kamel. La coppia, invece, ha negato tutte le accuse: ora hanno 30 giorni di tempo per chiedere appello.
Centinaia di casi di maltrattamenti vengono denunciati ogni anno nei paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), ma si sospetta che le vittime siano molte di più e che non abbiano la possibilità di parlare, data la totale mancanza di diritti umani nei loro confronti: i lavoratori immigrati sono infatti strettamente legati al loro padrone da un sistema di reclutamento, detto Kafalah, che li obbliga a lavorare per tutta la durata del contratto in qualsiasi condizione. Ritiro del passaporto all’arrivo, stipendi non versati e violenza di vario genere caratterizzano la prigione dei nuovi schiavi del Golfo. E denunciare le molestie spesso vuol dire vedersi stracciare il contratto di lavoro e venire quindi espulsi dal paese. 
(Nena News)

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