Afghanistan...e democrazia?...





Di Luca Lampugnani 
Reuters parla di "relief", sollievo. Per il Washington Post, invece, gli elettori afghani hanno "sfidato" i Talebani con un'alta partecipazione al voto, il tutto in un venerdì "relativamente pacifico". Insomma, a poco meno di due giorni dalla chiusura dei seggi, l'appuntamento elettorale che ha visto un'affluenza del 58% sembra già un successo.
Poco importa se per avere i primi risultati occorrerà attendere almeno fino al 24 aprile. Poco importa se da quei risultati, con ogni probabilità, non uscirà nessun vincitore - otto i candidati, ma a finire al testa a testa saranno gli ex ministri degli Esteri Abdullah Abdullah e Zalmai Rassoul con l'ex ministro delle Finanze Ashraf Ghani Ahmadzai -, rendendo necessario un ballottaggio che si svolgerebbe sul finire di maggio. E poco importa, infine, se in tutto questo tempo l'Afghanistan continuerà ad essere guidato da un presidente, Hamid Karzai, al potere dal 2001, che sembra ballare sul filo di un rasoio particolarmente affilato, tirato da interessi internazionali da una parte (gli USA che spingono per la firma dell'Accordo Bilaterale di Sicurezza) e da 'furbizia' interna dall'altra (la melina di Karzai sul BSA è stata interpretata come un tentativo per ingraziarsi la popolazione più intransigente, non particolarmente soddisfatta della presenza straniera in territorio afghano). Un presidente che appare mai come ora in grado di esercitare il proprio controllo solo su Kabul e sulle province più occidentali, mentre da est l'avanzata dei Talebani continua ad essere una realtà non trascurabile e portatrice di una nuova era di violenza e instabilità.
Intendiamoci: i numeri del voto presidenziale di venerdì sono sicuramente buoni, così come confortante (rispetto a quanto ci si poteva aspettare) è il bilancio di morti e feriti nelle 24 ore di venerdì - la vigilia elettorale si è macchiata con il sangue di due reporter dell'Associated Press, Anja Niedringhaus e Katthy Gannon. Per quanto riguarda il primo aspetto, alle presidenziali hanno partecipato 7 milioni di cittadini su 12 milioni aventi diritto - due terzi uomini e un terzo donne -, il dato più alto dalle elezioni del 2004, le prime libere di tutto l'Afghanistan e in grado di portare alle urne il 76,9% della popolazione. Secondo la Commissione Elettorale Indipendente, inoltre, alcuni seggi hanno dovuto chiudere in ritardo rispetto all'ora stabilita (le 17 ora locale) in modo da permettere a tutti coloro rimasti in fila di esprimere la loro preferenza. In questa cornice, nonostante le minacce dei Talebani, durante la giornata elettorale il ministero dell'Interno ha riferito di 140 attacchi armati (molti sarebbero stati quelli sventati) che hanno causato 109 vittime, la maggior parte delle quali tra gli insorti. Il vero problema, però, non è tanto la giornata elettorale, quanto il post-voto.
Nonostante l'entusiasmo generale (dal presidente degli USA Barack Obama a Karzai fino alla NATO), infatti, non sono certo tutte rose e fiori. Subito dopo la chiusura delle operazioni di voto, ad esempio, alla Commissione sono arrivate 162 denunce di irregolarità - il timore più grande è che si torni ad una situazione di presunti brogli come nel 2009, quando venne rieletto Karzai con un'affluenza minima del 31,4% -, mentre in alcune province è stata registrata una carenza di materiale elettorale che ha rallentato non poco le operazioni. Non va dimenticato, inoltre, che un buon numero di seggi non ha mai nemmeno aperto i battenti, come accaduto soprattutto nelle regioni, nei villaggi e nelle province più influenzate dalla presenza talebana. Gruppo ribelle che, inoltre, avrebbe svolto massicce operazioni per corrompere i cittadini dei villaggi più remoti consegnando soldi (500 rupie pakistane, poco meno di 4 euro) in cambio di schede elettorali - leggi qui.
Questo traccia la sagoma di un Paese ancora molto, molto lontano dalla svolta democratica di cui si è parlato - troppo e con poca cognizione di causa - nei giorni scorsi. L'assenza alle urne del 42% degli aventi diritto, ad esempio, mostra il vero volto dell'Afghanistan. Anni e anni di conflitti, a partire dal più recente del 2001 (sponsorizzato dagli USA che trovarono l'insolito appoggio della Russia, interessata a lanciare un segnale ai ribelli jihadisti del Caucaso) fino al ruolo avuto durante la Guerra Fredda - il Paese fu masticato e poi digerito da Washington e da Mosca, lasciando una situazione interna potenzialmente devastante tra mujaheddin, Alleanza del Nord e Talebani -, hanno restituito una Kabul lacerata. Spaccatura che viene sottolineata anche dalle continue tensioni tra le varie tribù ed etnie afghane, soprattutto dall'odio che determinante minoranze nutrono verso il gruppo più popoloso, più potente - basti pensare che vi appartiene Karzai e molto probabilmente vi apparterrà anche il prossimo presidente segnando una certa continuità di fatto - e più diviso (tra questi c'è chi non accetta di buon grado la presenza statunitense e l'eccessiva apertura del Karzai pre-elezioni) dei Pashtun.
Insomma, volendo tirare le somme l'Afghanistan sembra tutt'altro che pronto ad una svolta democratica. I conflitti interni ed internazionali continuano a rappresentare micce che da un momento all'altro possono dar fuoco ad una polveriera la cui esplosione avrebbe ripercussioni su tutto il Medio Oriente. Chiunque dovesse uscire vincitore dal voto di venerdì (ripetiamo: i risultati il 24 aprile, l'eventuale e molto probabile ballottaggio a fine maggio), erediterà direttamente dalle mani di Karzai, e non sono da sottovalutare le mosse e le eventuali scelte che quest'ultimo farà da qui alla fine del suo mandato, un vero e proprio campo minato, una situazione gravida di pericoli e ostacoli. Nel frattempo il Paese resterà a guardare certamente con occhi pieni di speranza e di buoni propositi per il futuro - anche se questi per il momento sembrano animare più che altro i sogni occidentali, vedi l'ottimismo dilagante e quanto meno prematuro di molti media -, futuro che rimane però fortemente soggetto alla presenza o meno dei contingenti internazionali e, soprattutto, dalla violenza interna scatenata dai Talebani che non sembrano intenzionati ad indietreggiare di un passo verso la riconquista dell'Afghanistan.       
  (International Business Times)

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