Il tuffo dei bimbi di Aleppo è uno schiaffo alle nostre coscienze...




L'immagine dei bambini che hanno creato una piscina nella voragine di un'esplosione è la denuncia delle nostre responsabilità e indifferenze.



Onofrio Dispenza

La sequenza fotografica dei bambini di Aleppo che hanno trasformato in piscina la voragine lasciata da una bomba durante un attacco missilistico delle truppe governative di Bashar Al Assad è anche uno sberleffo. Lo fanno loro che sono sopravvissuti, ma nelle sagome di chi si tuffa, nell'ombra che si intuisce sotto il pelo opaco dell'acqua dobbiamo vederci le centinaia e centinaia di bambine e bambini che non ci sono più. Coperti da uno spesso strato di terra compattata dalle lacrime delle madre, mentre al cielo si alzava l'implorazione degli uomini. Nel tuffo dei bambini di Aleppo che han fatto della cicatrice della guerra la pozza di un gioco c'è la denuncia delle nostre responsabilità, delle nostre indifferenze, anche della nostra pietà. Anche di quella. Di questa nostra pietà, che non basta, che è impotente, ingiuriosa, perché non "violenta" ai responsabili di quanto si consuma, da anni, in Siria. I bambini di Aleppo rispondono con un gioco al gioco atroce della guerra. Gli uni nel segno della vita, gli altri in quello della morte.
Aleppo è una non città, dove è difficile bere, mangiare, vivere ed anche solamente sopravvivere. Eppure, questi bambini, che si burlano dell'orrore della guerra, sono gli stessi che ogni mattina vanno a scuola. Banchi che si svuotano, nomi depennati dall'appello quotidiano. Lo sguardo che viaggia tra i libri, la lavagna, le labbra della maestra e la finestra senza vetri. Per sentire se sta arrivando.
Il tuffo dei bambini di Aleppo è uno schiaffo, non meno pesante delle altre immagini che abbiamo visto, da Aleppo: i padri coi figli snodati tra le braccia, le madri con le stesse violente fitte al ventre e al cuore. E gli ospedali coi pavimenti tinti di rosso. E tanti, troppi fagotti senza vita. Ogni tuffo dei bambini di Aleppo sia un chiodo. Ci trafigga e ci faccia condividere questo incalcolabile dolore.


 (Globalist)

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