Lidia Solano Herrera riconosce il figlio in Tv: “Ora è con l’Isis”...





BELLUNO - Lidia Solano Herrera, cubana, mamma del piccolo Ismail Davud, nato a Belluno il 4 settembre 2011 e scomparso dal Natale scorso, ha riconosciuto il figlio in una foto che lo ritrae fra le braccia di un miliziano dell’Isis. Il marito di Lidia, l’imbianchino Ismar Mesinovic, partito dalla provincia di Belluno per arruolarsi nell’Isis è morto poco dopo l’arrivo in Siria. Da allora del figlio di Lidia, Ismail, nessuna traccia. Fino a pochi giorni fa quando Lidia in una foto ha riconosciuto il figlio.
Lidia Solano Herreraa abita a Ponte nelle Alpi: l’ultima telefonata del bimbo risale allo scorso 20 dicembre 2013, quando gli parlò in Bosnia dov’era col padre a trovare i parenti. Poiil viaggio in Siria dove il padre era andato per arruolarsi con l’Isis insieme con un altra persona, il macedone Karamaleschi, partito dall’Alpago.
Pochi giorni fa AnnoUno su La7 ha affrontato il caso con un reportage di Pablo Trincia.Lunedì prossimo, come scrive il Gazzettino, Lidia Herrera, assistita dall’avv. Piazza di Treviso, tornerà in Procura: “Diedi il consenso a mio marito di portarsi Ismail. Non è stato rapito, ma ora deve tornare dalla sua mamma”. L’intervista al Giornale:
Vuole lanciare un appello per il piccolo Ismail?
«Vorrei che tornasse fra le mie braccia. Nel nome di Allah restituitemi mio figlio. Dicono di essere veri credenti, ma non è giusto quello che fanno, non è giusto che un bambino venga strappato alla madre. Che si mettano la mano sul cuore e pensino a me, una mamma che cerca disperatamente suo figlio. Anche se mio marito gli ha detto di crescerlo io sono la madre e amo Ismail come tutte le mamme del mondo».
Suo marito è morto in gennaio combattendo ad Aleppo. Lei ha idea dove si trovi e chi tenga suo figlio?
«Non posso dirlo. Ho paura per la sua sorte. Si trova in Siria e vive con delle donne che hanno già dei figli. Prima di andare a combattere mio marito lo ha consegnato a loro».
Non ha mai avuto contatti con chi tiene suo figlio?
«Mai. Non ho più visto una sua foto, un video. Non mi hanno mai fatto parlare al telefono con lui. Niente di niente. L’ultima volta l’ho visto l’11 dicembre a Ponte delle Alpi dove ancora abito. Mio marito mi aveva detto che portava Ismail a trovare il nonno in Bosnia. Non avevo idea che volesse partire per la Siria con nostro figlio».
E poi cosa è accaduto?
«Dopo qualche giorno una zia dalla Bosnia mi ha avvisato che mio marito era andato a trovare il suo amico Munafir (Karamaleski, che ancora combatte in Siria fra le fila del Califfato ed è indagato dalla procura di Venezia, ndr ) in Macedonia. La zia voleva tenere Davud, ma mio marito si è rifiutato. Poi ho perso il contatto con lui ed il bambino».
Quando ha saputo che suo marito aveva deciso di andare a combattere in Siria con lo Stato islamico?
«L’8 gennaio da mia suocera che vive in Germania. Mi ha mandato un sms in inglese informandomi che era morto. Poi mi ha raccontato che Ismar l’aveva chiamata al telefono verso il 20 dicembre per dirle che stava andando in Siria e che non sarebbe più tornato indietro. E con lui aveva portato il piccolo Ismail. Per me è stato un fulmine a ciel sereno».
Dall’inchiesta sembra che suo figlio sia nelle mani di due donne bosniache…
«In seguito mia suocera è riuscita a contattare le donne che tengono Ismail. Sono le mogli dei combattenti islamici e hanno sostenuto che questa era la volontà di mio marito. Dicono che il bambino è vivo e sta bene, ma sarà vero? Solo mia suocera l’ha visto e sentito via internet, ma alcuni mesi fa, in maggio».
Quando è cominciata la deriva integralista di suo marito?
«Ci siamo conosciuti nel 2008 a Ponte delle Alpi. Lui faceva l’imbianchino, era un persona tranquilla, normale. Non so proprio cosa gli sia accaduto. Attorno al 2010 è cominciato il cambiamento».
Si sarà chiesta qual è la molla che lo ha spinto a partire per la guerra santa portandosi dietro vostro figlio?
«Non lo so. Mi ricordo che era molto colpito dai massacri in Siria. Guardava in tv i servizi sul conflitto. Mi parlava delle donne e dei bambini uccisi, ma sembrava tutto normale. Non avrei mai immaginato che sarebbe andato a morire ad Aleppo».
Perché si è convertita?
«Per amore. Mio marito andava alla moschea, ma tornava sempre a casa e si comportava normalmente. Non mi ha mai parlato dei predicatori che lo avrebbero convinto a partire, come dicono gli inquirenti. Se l’avessi immaginato non avrei permesso che portasse via il piccolo».
Teme che suo figlio possa diventare un combattente dello Stato islamico?
«Questa è la mia paura. Mio figlio può crescere nell’islam, ma ho il terrore che diventi un soldato bambino in nome della jihad. La famiglia di mio marito in Germania sta cercando di convincerli a restituire il piccolo, ma è passato quasi un anno. Qualcuno mi aiuti».
(blitz quotidiano)

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