Siria, l’Onu è morta (e non l’ha uccisa Trump)







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Districarsi nel guazzabuglio siriano è davvero complicato. Quello che però è successo nei giorni scorsi è senza alcun dubbio orribile. Tuttavia, chi invoca, come il ministro degli Esteri francese, la punizione dei responsabili per crimini di guerra dovrebbe sapere che l’istituzione che dovrebbe punire i responsabili con quell’imputazione, ovvero la International Criminal Court, unica legittimata a perseguire quei crimini, è un organo a base pattizia, e può processare solo persone che siano cittadine di uno Stato firmatario o abbiano commesso i crimini di competenza della ICC sul territorio di uno Stato parte. La Siria non ha aderito.
Nel frattempo sono arrivati i Tomahawk di Trump, che ha ordinato il bombardamento della base militare siriana di Al Shayrat dalla quale gli statunitensi ritengono si siano alzati in volo i caccia con a bordo le armi chimiche sganciate su Khan SheikhunObama nel 2013dopo che Assad aveva usato le armi chimiche a Ghouta provocando 1.400 morti, aveva rinunciato a un attacco, nonostante avesse fissato una ‘linea rossa’: chi usa ancora armi chimiche va punito. E le Nazioni Unite avevano spedito Jerry Smith a supervisionare la distruzione dell’arsenale chimico siriano. Molti paesi sostengono che il presidente siriano sia il mandante della strage di bambini. Lo stesso Smith ha dichiarato al Guardian che il Sarin si compone di due elementi che vengono combinati solo poche ore prima dell’uso, dunque se davvero – come sostiene la Russia – i caccia siriani avessero colpito un deposito ribelle di gas, si dovrebbe supporre la presenza almeno di una testata già combinata e pronta all’uso. Posto che, come sostiene Libération, si sarebbe trattato di un gas neurotossico organofosforico, forse una combinazione di Sarin e cloro, e che comunque il Sarin raggiunge lo stato gassoso a 147°, e dunque è difficile, trovandosi stoccato allo stato liquido, che abbia potuto provocare la strage.
Sia come sia, Trump ha dimostrato ancora una volta, come i suoi predecessori – compreso il Premio Nobel per la Pace Barack Obama – che le istituzioni internazionali non contano più niente. Le guerre in Iraq, i bombardamenti della Serbial’Afghanistan, l’uso dei droni, le extraordinary renditionGuantanamo, avevano già segnato il declino dell’Onu, ovvero dell’unico organismo che secondo il diritto internazionale ha il potere di autorizzare l’uso della forza contro uno Stato sovrano. Ma il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è una Santa alleanza dentro la Santa alleanza, ed è attanagliato da un immobilismo che lo rende ormai un organo che non riesce a rispondere alle emergenze del tempo presente. Secondo la Carta Onu, gli Stati hanno due opzioni: l’autodifesa, quando non ci sia tempo da perdere; e l’intervento di una forza militare ‘globale’ coordinata da uno stato maggiore sotto l’egida Onu, che però non si è mai costituito. Ma l’ottica è quella di conflitti inter-statali, mentre la storia della seconda metà del Novecento e di questi anni Duemila ci ha messo davanti per lo più conflitti intra-statali, tra fazioni dentro i confini di uno Stato sovrano, con l’emersione di soggetti nuovi. Così accade in Siria, dove ‘ribelli’ e forze transnazionali (terroristi?) fronteggiano il governo ‘legittimo’ di Assad, in un conflitto che ormai dura dal 2011.
Per fare fronte alle difficoltà del diritto internazionale di interpretare il cambiamento del mondo in atto, si sono fatte strada diverse dottrine. La Responsibility to Protect: è un accordo tra gli Stati siglato nel 2005 contro il terrorismo al fine di evitare il ripetersi di genocidicrimini di guerracrimini contro l’umanitàpulizia etnica. Tuttavia, la R2P rimane nell’alveo del rispetto del diritto internazionale, dunque di quella Carta Onu che oggi condanna all’immobilismo. D’altro canto, invece, la dottrina dell’intervento umanitario ha teorizzato la possibilità di uso della forza anche in via preventiva e senza autorizzazione del Consiglio di sicurezza. Una china pericolosissima, che oggi porta alla decisione di Trump, il quale evidentemente – vista l’impasse in cui si è trovato nei giorni scorsi il Consiglio – ha deciso di non passare dal rispetto del capitolo VII della Carta. Bypassato l’Onu, bypassata la Corte penale internazionale, gli Stati Uniti scrivono ogni giorno, da anni, un diritto internazionale unilaterale. Che torna a essere il diritto del più forte, da Clinton a Bush a Obama a Trump. Non c’è discontinuità alcuna in questo, e Trump non è che l’ennesimo interprete di una pretesa unipolare degli Stati Uniti...
(Il Fatto Mondo)

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