Gaza, la guerra del tunnel e i precedenti...





Dalle gallerie scavate da Hamas a quelle dei vietcong. Dai cuniculi di Sarajevo sotto assedio a quelli nel Carso durante la Grande Guerra. Le battaglie sotto la superficie.

STORIA

Un gruppo di soldati armati fino ai denti spunta all'improvviso da una piccola apertura. È buio, il nemico è potente, ben armato, sicuro di sé. Ma il manipolo di uomini ha un vantaggio decisivo: è apparso nella notte, ha colto di sorpresa le truppe avversarie, e ha potuto volgere a proprio vantaggio l'esito di una battaglia altrimenti perduta contro forze troppo superiori per essere affrontate in campo aperto.
Lo scenario è Troia, più di 3 mila anni fa. E l'escamotage di aggirare con un trucco le linee nemiche permise ai greci di vincere la guerra.
L'ANTENATO È IL CAVALLO DI TROIA. Il famoso cavallo ideato da Ulisse può essere considerato l'antenato, il primo esempio, della guerra dei tunnel.
La stessa che oggi permette al Davide palestinese, i guerriglieri di Hamas, di colpire Golia, l'esercito di Israele; sbucando da cunicoli scavati nel terreno che passano sotto alle frontiere ben presidiate dalle forze armate di Tel Aviv.
I TUNNEL DALLE CASE A ISRAELE. La rete sotterranea utilizzata dai guerriglieri di Hamas è composta da gallerie che partono dall'interno di case o edifici in città della Striscia come Beit Hanoun, Shejaiya e Bayt Lahita, e sbucano in Israele. Possono arrivare a una profondità di 30 metri e una lunghezza di 4 chilometri.
I tunnel sono realizzati in cemento. Spesso sono dotati di aria condizionata e possono ospitare gruppi di terroristi.

La guerra sotterranea tra romani e persiani

Nascondersi per colpire con efficacia e rapidamente, per poi, se possibile, ritirarsi. Oppure per superare mura e fortificazioni altrimenti insuperabili.
La tattica che adopera oggi Hamas e della quale Israele ha terrore è antica quanto l'uomo. Il ricorso a tunnel, nascondigli segreti e gallerie per sbaragliare il nemico è frequente. A cominciare dall'antichità, quando per centinaia di anni persiani e romani, prima, e bizantini poi, si scontrarono per la supremazia nell'Oriente mediterraneo.
L'assedio della città di Dura, in Siria (256 d.C) fu un chiarissimo esempio di uomini trasformati in topi per cercare di scardinare le difese nemiche attraverso i passaggi sotterranei. I ritrovamenti archeologici recenti hanno dimostrato come un intero esercito avesse cercato di scavare le gallerie per passare sotto le mura, mentre le truppe a difesa della città ne aprivano altre per intercettare nel sottosuolo i nemici.

Bisanzio e l'attacco di Maometto II

Nel 1453 l'impero di Bisanzio era ridotto a ben poca cosa. Ma la sua capitale, cinta da triple mura, con torri, fossati e terrapieni, era ancora una città imprendibile per l'esercito ottomano che la cingeva d'assedio. Qui l'ostacolo per gli uomini di Maometto II non erano i nemici, ridotti a poche migliaia di soldati stanchi e feriti, bensì gli imprendibili bastioni, che resistevano agli attacchi, alle macchine d'assedio e anche alle cannonate.
PASSAGGI ESPLOSIVI. Così i turchi, per arrivare nel cuore della difesa, cominciarono a scavare i cosiddetti tunnel di mina. Questi passaggi venivano riempiti di legna, fascine, materiale infiammabile vario, poi accesi e fatti esplodere con la polvere da sparo, per far crollare i bastioni sovrastanti e aprire la via agli invasori.
Ma il piano fallì. I bizantini conoscevano le tattiche nemiche e, a loro volta, scavarono gallerie di contro mina per intercettare i tunnel nemici, permettere ai soldati greci di fare irruzione sottoterra tra i turchi impegnati a scavare e farne così strage. I contro mina venivano utilizzati anche per far scorrere acqua facendo annegare gli assalitori.
I piani sotterranei di Maometto II naufragarono tutti. Nella guerra dei topi i bizantini ebbero ogni volta la meglio: dopo mesi di assedio, la città cadde per l'errore di un soldato che dimenticò aperta una porta.

La Grande Guerra e i tunnel nel Carso

  • Il fronte italiano sul Carso durante la Prima Guerra mondiale.
La Grande Guerra fu combattuta a lungo sottoterra. Soprattutto sulle Alpi, italiani e austriaci (in gran parte militari sloveni, esperti del Carso e delle sue fenditure nel suolo e nella roccia), scavarono gallerie di ogni dimensione per permettere lo spostamento di armi, truppe e viveri. Oppure per trovare passaggi tra le linee nemiche e arrivare così in punti del fronte altrimenti inaccessibili.

Vietnam: la controffensiva dei vietcong

  • L'ingresso di un tunnel in Vietnam.
Ma l'epopea della guerra dei tunnel, quella documentata da reduci, giornalisti e, in seguito, da celebri film e libri riguarda il Vietnam. Gli uomini del generale Giap si trovavano a fronteggiare i marine Usa e l'unica possibilità di vittoria risiedeva nello sfruttamento delle caratteristiche dell'ambiente naturale.
I vietcong scavavano tunnel stretti e bassi in terreni difficili, gallerie abitate da topi e altri animali nei quali i soldati, esili e bassi di statura, potevano infilarsi per attaccare alle spalle i nemici.
Impossibile per gli invasori reagire: le gallerie erano ben nascoste e i bombardamenti con pesanti ordigni, la distruzione sistematica di villaggi, popolazioni e foreste con il napalm risultavano inutili.

Sarajevo: assedio e sopravvivenza

  • Un tunnel a Sarajevo.
Nel 1993 Sarajevo era assediata. I serbi di Bosnia, dislocati sulle montagne che chiudono la città come un bacile, con le loro artiglierie e mitragliatrici sparavano in continuazione su militari e civili.
Tra le case si moriva e si soffriva la fame perché l'ingresso della vallata, il fazzoletto di pianura che conduce all'aeroporto allora posto sotto il controllo dell'Onu, era presidiato dai cecchini.
Così tra i bosniaci assediati nacque l'idea di trovare un passaggio sotterraneo per rompere l'assedio, fare provvista di armi e, se possibile, cercare di prendere i serbi alle spalle.
Sei mesi circa di intenso lavoro, giorno e notte senza interruzione, permisero ai difensori di realizzare una galleria lunga un po' meno di un chilometro, ancora oggi visitabile in parte nelle campagne di Sarajevo, accanto a una casa di contadini che la custodiscono come un museo della memoria del martirio del popolo bosniaco.
Sabato, 26 Luglio 2014
(Lettera 43)

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