Venezuela, un anno dalla morte di Chàvez: un Paese in rovina...





Di Gabriella Tesoro 

È trascorso un anno dalla morte di Hugo Chàvez, il leader che per 14 anni ha guidato il Venezuela. Oggi, quello che rimane della sua eredità è un Paese sull'orlo del baratro, tra un malcontento senza precedenti, una grave crisi economica e un capo di Stato, Nicolàs Maduro, che non ha neanche un decimo della popolarità e del consenso di cui godeva il suo predecessore.

A Caracas hanno avuto inizio le commemorazioni ufficiali che dureranno una decina di giorni e Maduro ha allungato le vacanze per il Carnevale, concedendo in totale sei giorni di ferie. Per l'opposizione è solo un modo per placare le proteste rispolverando la memoria dell'ex presidente.
Infatti, nonostante i giorni di festa, le rivolte, iniziate lo scorso febbraio, non accennano a diminuire. Se nel centro di Caracas sfilano i tradizionali carri, nelle altre strade della capitale continuano le manifestazioni per la mancanza di beni di prima necessità, per la scarsa sicurezza, l'elevata criminalità (il Venezuela si aggiudica il triste primato di essere uno dei Paesi più pericolosi del mondo), per la costante diminuzione del Pil e per l'inflazione record, ormai giunta a oltre il 50 per cento. Tutto questo in uno Stato che, bisogna ricordare, possiede uno dei più grandi giacimenti di petrolio del pianeta. "Ci manca tutto - dice una manifestante - Dobbiamo metterci in coda per il cibo essenziale. Non c'è latte per i bambini, né medicine per le malattie croniche".
Ieri si sono registrati gli ultimi, ormai quotidiani, scontri tra dimostranti e polizia. Le forze dell'ordine hanno utilizzato lacrimogeni, mentre la folla ha risposto con il lancio di pietre. A rinfocolare la rivolta è stato un appello del leader dell'opposizione Leopoldo Lopez, in carcere dallo scorso 18 febbraio per incitamento alla violenza. Lopez aveva chiesto ai cittadini di mantenere alta la pressione contro il governo. Nelle ultime tre settimane, proprio a causa dei continui scontri tra manifestanti e polizia, si sono registrate almeno 18 vittime e le proteste hanno finito con il chiedere anche le dimissioni del ministro dell'Interno, considerato responsabile dell'uso della forza.
Dal canto suo, Maduro pare intenzionato a non cedere. Quello che era il delfino di Chàvez, ma che non ha né le sue capacità di guida, né il suo carisma, cerca di minimizzare, accusa l'opposizione di fascismo e prova a veicolare le informazioni. "Il governo non fa altro che limitare i media e chiudere i canali che mostrano la realtà" accusa una giovane dimostrante.
In tutto ciò, il 3 marzo il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha incontrato a Ginevra il ministro degli esteri venezuelano, Elìas Jaua, chiedendogli di fare in modo che il governo di Caracas ascolti le richieste della piazza. Per tutta risposta, Jaua ha affermato che il Venezuela è vittima di "una guerra psicologica" causata dai mezzi di informazione nazionali e internazionali, in una propaganda che ha come fine ultimo quello di giustificare un intervento internazionale.
Insomma, rispetto a un anno fa, le condizioni del Venezuela sono di gran lunga peggiorate. 

(International business Times)

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