Guerra in Siria: le strategie di Stati Uniti, Russia e Francia Usa pronti a lanciare i Tomahawk. Se Mosca li intercetta, via con i bombardamenti. A cui parteciperebbe anche Parigi....

di Marco Mostallino

Washington e Parigi attendono le condizioni politiche favorevoli prima di attaccare laSiria, ma intanto la guerra nel Mediterraneo orientale è già cominciata: nelle acque tra Cipro e il Medio Oriente, una flotta americana composta da sei cacciatorpediniere lanciamissili e una portaerei studia e fronteggia una squadra navale russa, con una serie continua di manovre, lanci di missili e intercettazioni simulate al computer e persino con test autentici. Una situazione che ricorda la crisi dei missili di Cuba quando, nel 1962, le forze armate di Kennedy e Crushev si preparavano a darsi battaglia nei Caraibi.
Pochi giorni fa Usa e Israele hanno ammesso di aver tirato un missile di prova in mare: i russi lo hanno subito individuato e, secondo fonti militari Usa, si sarebbe trattato di un esperimento condotto dagli americani (con l'appoggio di Tel Aviv) per sondare la capacità russa di seguire e abbattere i Tomahawk, i missili da crociera imbarcati sulle navi ai quali la Casa Bianca intende affidare il grosso del lavoro contro le forze armate di Bashar al Assad.
NIENTE TRUPPE DI TERRA. FORSE. Le dichiarazioni dei capi di Stato occidentali offrono già alcune chiavi di lettura di come potrebbe svilupparsi l'attacco, che Barak Obama definisce «limitato» e François Hollande una «punizione» contro Assad. Entrambi i presidenti hanno escluso l'utilizzo di truppe di terra.
Lo sbarco in forze non è previsto, anche perché dopo tante guerre l'opinione pubblica, soprattutto americana, non intende celebrare altri funerali con le bare avvolte nei drappi a stelle e strisce.
Ma almeno 50 consiglieri militari statunitensi - lo ha ammesso la stessa Casa Bianca dopo una prima fuga di notizie riservate – sono già sul terreno per appoggiare i guerriglieri jihadisti e raccogliere informazioni tattiche, così da aprire la strada al lancio di missili che appare sempre più prossimo. 

La flotta americana punta i Tomahawk

La flotta schierata dagli Stati Uniti è in grado di lanciare in poche ore molte decine di missili Tomahawk, capaci di viaggiare a 850 chilometri l'ora e di colpire obiettivi in tutto il territorio della Siria, restando sempre a una distanza di sicurezza di alcune centinaia di miglia dalle coste. Il Pentagono ha per ora escluso l'uso di bombardieri: la Siria ha difese antiaeree fornite da Russia e Cina.
Un F22, secondo il Los Angeles Times, sarebbe caduto nei giorni scorsi sul territorio siriano e, sempre secondo la stampa Usa, potrebbe essersi trattato non di un incidente ma di un tiro delle difese siriane. Eppure, nemmeno l'opzione dei raid viene scartata a priori: la portaerei Nimitz sta raggiungendo il Mar Rosso, sia per dare copertura e protezione alla flotta, sia per far capire ad Assad (ma anche a Mosca e all'Iran) che i cacciabombardieri del Pentagono sono pronti a qualunque evenienza. In una seconda fase, gli aerei americani potrebbero anche garantire una no-fly zone su tutta la Siria, per intimorire e abbattere i caccia di Damasco che in colpiscono regolarmente le formazioni di guerriglieri islamici appoggiate dai consiglieri militari di Washington.
PRIAZOVYE, IL GIOIELLO RUSSO. La squadra navale che il Cremlino ha inviato al largo della Siria non è, come potenza di fuoco, in grado di competere con le navi Usa. Ma – ha spiegato una analisi dell'Institute for Study of War, un think tank molto ascoltato dalla Casa Bianca – ha con sé un gioiello di tecnologia: si tratta della SSV-201 Priazovye, una sorta di nave-spia equipaggiata con ogni genere di tecnologia di individuazione e riconoscimento delle armi nemiche, capace anche di disturbare i lanci e le comunicazioni via satellite che gli Usa utilizzano per guidare i Tomahawk sui bersagli.
La Priazovye è stata studiata per fronteggiare i migliori armamenti dell'arsenale Usa, compresi i cacciatorpedinieri lanciamissili della classe Arleygh Burke, dislocati nel numero di sei unità davanti alla Siria e armati ciascuno con almeno 50 missili da crociera. La Siria dispone inoltre di una flotta aerea composta da Mig e Sukhoi, i nemici tradizionali dei cacciabombardieri americani, ma l'interrogativo riguarda lo stato di manutenzione dell'aviazione da guerra di Assad, che pure dispone di piloti abili ed esperti, addestrati nelle scuole militari russe.

Il Pentagono perde l'effetto sorpresa

Il missile Tomahawk è potente e spesso preciso, ma ha un difetto: al momento del lancio genera quantità talmente elevate di calore, fumo ed energia da essere facilmente individuato dai sistemi della Priazovye.
Così, secondo gli analisti americani, i russi potrebbero attivare le batterie di missili antimissile S-300 (e forse anche le più moderne S-400), fornite alla Siria proprio da Mosca e progettate per abbattere in volo i Tomahawk del Pentagono. Anche i droni, gli aerei americani senza pilota, potrebbero intervenire nei bombardamenti, ma nemmeno loro sfuggirebbero alle contromisure elettroniche della flotta russa, la quale potrebbe – almeno in teoria – disturbarne la navigazione guidata.
Su un punto, analisti americani e israeliani sono d'accordo: il Pentagono ha ormai perduto l'effetto-sorpresa, l'arma più preziosa di qualunque generale in tempo di guerra.
LE CONTROMISURE DI ASSAD. Secondo l'Institute for Study of War e il sito Debka.org (vicino a fonti militari e dei servizi di Tel Aviv), in queste settimane di minacce e manovre navali, Assad ha avuto tutto il tempo di mettere al sicuro il suo arsenale di armi chimiche (se esiste) o comunque pesanti, trasferendolo dentro bunker sotterranei, al riparo da obiettivi civili o portando parte di esso – sostengono gli israeliani – all'interno dei confini dell'alleato iraniano.
Così il lancio di decine di Tomahawk potrebbe rivelarsi sterile sotto il profilo militare, costringendo gli americani a intraprendere altre azioni, come l'uso dei bombardieri, per non ammettere al mondo di aver fallito l'azione militare. Anche perché, avverte il think tank di Washington, questa guerra appare tra le più difficili, in quanto la Casa Bianca non ha un obiettivo strategico chiaro e nemmeno una soluzione politica per un eventuale dopo-Assad.
TARSUS, UN PORTO STRATEGICO. Le navi russe sono giunte da Sebastopoli, nel Mar Nero, dove c'è una grossa base navale di Mosca. Per il Cremlino si tratta di difendere il porto di Tarsus, in Siria, unico scalo nel Mediterraneo dove la flotta di Putin può fare scalo per rifornimenti e riparazioni. Gli Usa dispongono di molte basi nell'aerea mediterranea (da Napoli a Rota e Souda Bay), ma potrebbero persino farne a meno: negli anni il Pentagono ha sviluppato una tecnologia che permette di assistere i vascelli direttamente in navigazione, ragione per cui la flotta Usa (con l'eccezione delle navi officina e di appoggio) potrebbe teoricamente restare in mare in eterno, senza mai attraccare. 

La Francia opta per una strategia attendista

Hollande è persino più determinato di Obama a «punire» Assad, ma il problema è che non dispone dell'armamento necessario per supportare con efficacia le prime azioni americane.
Parigi potrebbe colpire con i suoi velivoli imbarcati sulla portaerei Charles de Gaulle, per il momento in attesa di ordini nella base navale di Tolone.
Secondo gli osservatori americani e francesi, tuttavia, un'azione francese nei primi giorni del conflitto è improbabile oltre che rischiosa.
L'ITALIA RESTA ALLA FINESTRA.Quanto all'Italia, il governo di Roma non ha dato alcun appoggio ufficiale all'armata franco-americana, ma potrebbe mettere a disposizione la base siciliana di Sigonella quando, visto il fallimento – che quasi tutti gli analisti danno per certo – del bombardamento missilistico, gli alleati verrebbero chiamati ad azioni di bombardamento aereo, seguite da un massiccio impiego di truppe di terra.
Intanto Roma ha deciso di inviare nelle acque mediorientali il cacciatorpediniere Andrea Doria e la fregata Maestrale. Secondo lo Stato maggiore della Difesa, dovrebbero incrociare di fronte al Libano, dove sono impegnati – nella missione Nato – circa 1.000 militari italiani: le due navi, col supporto di altre unità, sarebbero così pronte a evacuare le nostre truppe se e quando il conflitto siriano dovesse incendiare anche il territorio il cui precario controllo è conteso fra il governo di Beirut e gli Hezbollah alleati di Damasco, trascinando così anche Israele in un conflitto di più ampia scala.
Venerdì, 06 Settembre 2013
(Lettera 43)

Commenti

AIUTIAMO I BAMBINI DELLA SCUOLA DI AL HIKMA

Post più popolari

facebook