Medici senza frontiere, Chiara Burzio: "Siamo arrivati a Mosul prima della battaglia"...
L'infermiera di rianimazione di Msf: "In un mese e mezzo avevamo già trattato 1.500 pazienti"
di RAFFAELLA SCUDERIChiara era appena tornata da Haiti dove l'uragano Matthew aveva mietuto 900 vittime. Neanche il tempo di riposare da tanta devastazione e morte, che è arrivata una chiamata per Mosul. Il 19 febbraio le truppe irachene avevano liberato la città irachena dal controllo dell'Isis.
Tre giorni prima, il 16, Medici senza frontiere, Organizzazione non governativa attiva in più di 65 paesi nel mondo, aveva già allestito due ospedali, i primi, tra Mosul ed Erbil: un trauma center, dove i pazienti arrivavano direttamente dal fronte, e uno per la riabilitazione a lungo termine.
"Siamo stati i primi ad arrivare prima della battaglia di Mosul. Il 19 abbiamo ricevuto il primo paziente. In un mese e mezzo ne avevamo gia trattati 1.500".
Chiara Burzio è un'infermiera di rianimazione di Medici senza frontiere. In quest'ultima operazione ricopriva la posizione di coordinatore medico nel pool d'urgenza.
Quanti eravate nelle due strutture? Era sufficiente?
"Una decina di espatriati più un centinaio di operatori locali. Eravamo molto ben equipaggiati. Due equipe chirurgiche di altissimo livello con esperienza di chirurgia di guerra e anche molti psicologi".
Che cosa ha visto?
"E' stata l'esperienza più scioccante della mia vita. Sono stata in Siria, in Sudan e in Ucraina. Ma non avevo mai visto tante ferite così gravi e brutte tutte insieme. Alcune persone ne avevano anche tre in tutto il corpo. Abbiamo lavorato 24 ore al giorno senza sosta. Sì, c'erano i turni di 12 ore. Ma non riuscivamo mai a usarle tutte per riposare. C'erano volte in cui abbiamo ricevuto 80 pazienti in un'ora e mezza. La maggior parte, donne e bambini".
E' in grado di fare una stima del tasso di mortalità in quei tre mesi?
"Non so i numeri con precisione, ma so per certo che la mortalità è stata molto bassa. Siamo riusciti a salvarne tanti ".
Ha parlato anche di assistenza psicologica. Com'è stato supportare psicologicamente tanta disperazione?
"Le sedute erano private, non saprei dirle gli argomenti come venissero trattati. Ma ce le chiedevano in tanti. A volte bastava una chiacchierata e fargli capire che insonnia, digiuno e incubi erano sintomi 'normali' dovuti a uno stress psicologico. Tanto gli bastava per riprendere fiato e speranza".
Quale storia le è rimasta più scolpita nella memoria?
"Un giorno arrivò un padre, ferito lievemente. Lo accompagnava uno dei suoi tre figli. Due erano dispersi. Li cercava disperatamente. La moglie era rimasta uccisa sotto le macerie di un bombardamento. Dopo un po' arrivarono due ambulanze con gli altri figli. Erano tutti in condizioni disperate. E lui ci implorava piangendo
Quale pensa che sarà la sua prossima missione?
"Ho sempre le valigie in mano. Facendo parte di un pool d'urgenza, sono pronta a partire in qualsiasi momento"...(La Repubblica Esteri)
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