Mosul, cartoline dall'inferno. Nel rapporto di Amnesty il vero prezzo della "liberazione"...




                                                                                                                                                 HAIER AL-SUDANI / REUTERS
Iraqi security forces walk along destroyed buildings from clashes in the Old City of Mosul, Iraq July 10, 2017. REUTERS/Thaier Al-Sudani


Hanno spianato la seconda città irachena. E l'hanno chiamata "liberazione". Benvenuti a Mosul, l'inferno in terra, dove non c'è spazio per la pietà, dove l'orrore non ha confini. Mosul, dove ebbe inizio la storia del "Califfato" islamico. Mosul, la più grande città sunnita irachena che accolse il capo dei tagliagole come un liberatore, il Saladino sunnita che poneva fine all'oppressione sciita. Mosul è stata liberata, annuncia trionfalmente il portavoce del governo di Baghdad. Ma per comprendere il prezzo di questa liberazione, è bene leggere attentamente il rapporto stilato da Amnesty International. Il rapporto denuncia che lo Stato islamico ha trasferito civili dai villaggi circostanti a Mosul ovest, intrappolandoli nelle abitazioni, impedendo loro di fuggire e impiegandoli come scudi umani. Le forze irachene e quelle della coalizione a guida Usa non hanno adottato misure adeguate per proteggere i civili e, al contrario, li hanno sottoposti a terribili attacchi con armi che non dovrebbero mai essere usate in aree densamente popolate.
Il rapporto, intitolato "A tutti i costi: la catastrofe di civili a Mosul ovest", si riferisce al periodo gennaio - metà maggio 2017 ed è basato su 151 interviste ad abitanti di Mosul ovest, esperti e analisti. Descrive 45 attacchi in cui sono morti almeno 426 civili e ne sono stati feriti più di 100 e fornisce una dettagliata analisi su nove di questi, condotti dalle forze irachene e dalla coalizione a guida Usa. "La dimensione e la gravità delle perdite di civili durante le operazioni militari per riconquistare Mosul devono essere immediatamente e pubblicamente riconosciute dalle massime autorità di governo dell'Iraq e dei paesi che fanno parte della coalizione a guida Usa", rimarca Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche di Amnesty International sul Medio oriente.
"L'orrore sperimentato dalla popolazione di Mosul e il disprezzo per la vita umana mostrato da tutte le parti in conflitto non devono rimanere impuniti. Intere famiglie sono state distrutte e molte di loro ancora oggi sono sepolte sotto le macerie. Il governo – aggiunge - ha il dovere di rassicurare la popolazione di Mosul che vi saranno giustizia e riparazione, e che il devastante impatto di queste operazioni militari sarà adeguatamente preso in considerazione". "Chiediamo l'istituzione di una commissione indipendente che assicuri che ovunque emergano prove credibili di violazioni del diritto internazionale vi siano indagini efficaci e che i loro esiti siano resi pubblici", ha sottolineato Maalouf. I crimini dell'Isis, anzitutto. A partire da ottobre 2016 lo Stato islamico ha portato avanti una campagna sistematica di trasferimenti forzati, spostando migliaia di civili dei villaggi circostanti nelle zone di Mosul sotto il suo controllo per poi usarli come scudi umani. Questa è la testimonianza di "Abu Haidar", un uomo del villaggio di Tel Arbeed:
"Dicevano 'o ve ne andate o vi uccideremo'. Ci hanno presi e usati come scudi umani, piazzati tra loro e i missili. Questo è accaduto appena prima dell'inizio delle operazioni per Mosul ovest. Quando le forze irachene sono avanzate, lo Stato islamico è arretrato e ha portato la maggior parte dei civili con sé".
Per impedire la loro fuga, lo Stato islamico ha intrappolato le famiglie nelle loro abitazioni, chiudendo le porte, piazzando trappole esplosive all'esterno e uccidendo in modo sommario centinaia se non migliaia di persone che avevano comunque tentato di fuggire. "Hasan" ha assistito all'impiccagione ai pali della luce di civili che avevano cercato di fuggire:
"Non avevamo scelta. Se fossimo rimasti, saremmo morti nelle nostre abitazioni a causa dei combattimenti. Se avessimo provato a fuggire, ci avrebbero preso e impiccato ai pali della luce come monito agli altri. Quattro dei miei vicini hanno fatto quella fine. Li hanno lasciati lì a penzolare per giorni. A volte ce n'erano anche 50 appesi così".
La paura di essere uccisi durante la fuga ha costretto molti civili a rimanere fino a quando i combattimenti si sono infittiti al punto che i combattenti del gruppo armato hanno dovuto pensare solo agli scontri. In questo modo alcuni civili sono riusciti ad attraversare la linea del fuoco e a raggiungere le forze irachene. Ma a Mosul nessuno può dirsi estraneo allo scempio di vite umane.
Poiché lo Stato islamico trasferiva civili nelle aree di combattimento e impediva loro di fuggire, le zone di Mosul ovest ancora controllate dal gruppo armato sono diventate più affollate con l'infuriare della battaglia. Le forze irachene e della coalizione a guida Usa non hanno adattato le loro tattiche a questa situazione e hanno continuato a usare armi esplosive imprecise che hanno prodotto effetti su ampie zone di un ambiente urbano fittamente popolato.
"L'uso degli scudi umani da parte dello Stato islamico non ha reso meno vincolante l'obbligo legale delle forze governative di proteggere i civili. Chi pianificava gli attacchi avrebbe dovuto fare ancora più attenzione per garantire che essi non sarebbero risultati illegali", ha commentato Maalouf.
Amnesty International ha documentato una serie di attacchi in cui le forze della coalizione a guida Usa e quelle irachene non hanno colpito l'obiettivo militare designato ma hanno distrutto o danneggiato obiettivi civili uccidendo e ferendo civili. In alcuni casi, le perdite civili sono apparse il risultato della scelta di armi inappropriate rispetto alle circostanze o della mancata adozione delle precauzioni necessarie per verificare che il bersaglio fosse davvero un obiettivo militare. Anche in attacchi che hanno raggiunto l'obiettivo militare designato, l'uso di armi di potenza che appare superiore al necessario e l'assenza delle necessarie precauzioni ha comportato la perdita di vite civili. Ad esempio il 17 marzo, per neutralizzare due cecchini dello Stato islamico una bomba Usa ha ucciso almeno 105 civili nel quartiere di al-Jadida. A prescindere da eventuali esplosioni successive - tesi sostenuta dal Pentagono - è evidente che il rischio cui sarebbero andati incontro i civili grazie all'uso di una bomba da 500 libbre fosse superiore rispetto al vantaggio militare preventivato. "Mohamed", del quartiere di al-Tenak, ha raccontato ad Amnesty International:
"Il bersaglio degli attacchi erano i cecchini dello Stato islamico. Ma hanno distrutto un intero edificio di due piani e colpito tante altre case. Attaccavano giorno e notte. Un altro attacco ha colpito una casa e distrutto le altre due di fronte uccidendo tantissime persone".
"La vittoria a Mosul, città dove l'Isis proclamò un tempo il suo cosiddetto Califfato, dimostra che i suoi giorni in Iraq e in Siria sono contati", afferma il presidente Usa Donald Trump in un comunicato diffuso dalla Casa Bianca. "Abbiamo fatto enormi progressi contro l'Isis, più negli ultimi sei mesi che negli anni in cui l'Isis è diventato una grande minaccia", prosegue. Seguono le congratulazioni al premier iracheno Haider al-Abadi alle forze di sicurezza irachene e a tutti gli iracheni per la loro vittoria sui terroristi che "sono i nemici di tutti i popoli civilizzati".
Ma le cose sono più complesse di quanto vorrebbe sostenere The Donald. È "la fine del falso Stato dell'Isis", ha detto nei giorni scorsi il premier iracheno Haidar al-Abadi anche se l'euforia per la caduta di Mosul ormai imminente ha fatto dimenticare che l'Isis controlla ancora ampie aree in territorio siriano ma anche in Iraq dove mantiene il possesso di un'area di 500 chilometri quadrati ad Hawija, a ovest di Kirkuk, e una fascia di territorio lunga 400 chilometri alla frontiera con la Siria, settore dove operano le milizie sciite filo iraniane congiuntesi con le truppe di Bashar al-Assad.
Che in Siria e Iraq, l'Isis stia subendo sconfitte militari a ripetizione, ciò è fuori discussione. Il fatto è, però, che l'Isis non è certo solo Iraq e Siria. Anzi, proprio i rovesci in Sira lo spingeranno a reagire ovunque troverà spazi: Libia, Filippine, Afghanistan, Pakistan. In alcune zone ha cercato di ricucire i rapporti con componenti qaediste dissidenti (è il caso di alcune frange talebane). Lo smarcamento è nella sua tradizione. E lungo questo asse si sviluppa la minaccia eversiva in Occidente. Dalle rovine di Mosul nasce l'Isis 2.0...
(L'Huffington Post)

Commenti

AIUTIAMO I BAMBINI DELLA SCUOLA DI AL HIKMA

Post più popolari

facebook