Le storie delle donne cambogiane stuprate e vittime di matrimoni forzati nel regime dei Khmer rossi...




Le scioccanti testimonianze sono state rivelate per la prima volta dal Tribunale speciale della Cambogia, istituito per perseguire i membri più anziani dei khmer rossi per i crimini commessi durante il regime brutale



Erano state costrette a matrimoni forzati durante il regime dei Khmer rossi in Cambogia. Ora stanno chiedendo giustizia al tribunale speciale delle Nazioni Unite. Sono le tante donne cambogiane di circa 60 anni, che hanno iniziato a raccontare le proprie storie di violenza subite durante gli anni del regime comunista.
Una delle sopravvissute, Sa Lay Hieng, ha raccontato in tribunale: “Ho rifiutato di sposarmi più volte, alla fine il comitato mi ha dichiarata persona ostinata”.

Un’altra donna, identificata solo come 2-TCCP-274 per proteggerne l’identità, ha raccontato di essere stata costretta a sposare un ufficiale dei khmer rossi. Quando ha rifiutato le avance del coniuge la prima notte di nozze, questo si lamentò con il suo comandante, che intervenne nella questione, stuprando la donna.
“Mi sono morsa le labbra e ho pianto, ma non ho avuto il coraggio di urlare, perché avevo paura di essere uccisa”, ha raccontato la donna.
I matrimoni forzati erano una pratica pianificata e portata avanti in quesi tutti i villaggi del paese, senza i riti tradizionali buddisti e le benedizioni di famiglie e parenti. La maggior parte delle donne veniva data in sposa a persone che non aveva mai incontrato prima.
Molti di questi matrimoni avvenivano durante cerimonie di massa che duravano pochissimo. Souk, un’altra testimone di quella brutale usanza, ha raccontato che le fu puntata una pistola alla tempia per costringerla ad avere rapporti sessuali con il marito.
“Mi dissero che mi avrebbero violentata e se avessi urlato mi avrebbero ucciso”, ha raccontato in tribunale.
Souk doveva incontrare il marito ogni 10 o 15 giorni, sotto il controllo dei soldati che dovevano assicurarsi che la coppia consumasse il loro matrimonio.
Queste testimonianze scioccanti sono state rivelate per la prima volta dal Tribunale speciale della Cambogia (ECCC), istituito congiuntamente dal governo cambogiano e dalle Nazioni Unite nel 2006 per perseguire i membri più anziani dei khmer rossi per i crimini commessi durante il regime brutale.
Molti degli alti dirigenti del regime sono stati condannati in questi anni. I procuratori hanno presentato una richiesta di condanna nei confronti di Nuon Chea, braccio destro di Pol Pot e Khieu Samphan, uno dei massimi dirigenti del regime, per crimini contro l’umanità.
Per anni il tribunale non ha considerato come reati i matrimoni forzati. Fu solo nell’agosto 2016 che il tribunale iniziò a trattarli al pari di esecuzioni di massa o altre violazioni dei diritti umani. La sentenza provvisoria sarà emessa entro la fine del 2017.
I matrimoni forzati sono stati utilizzati come uno strumento di controllo da parte del regime comunista e avevano lo scopo di far nascere la nuova generazione di cambogiani e raddoppiare la popolazione del paese entro un decennio. Le coppie dovevano sposarsi contro il loro consenso e costrette a mantenere relazioni coniugali. Coloro che si rifiutavano di avere rapporti con il coniuge venivano punite, spesso con lo stupro e la violenza.
Fino ad oggi non è stato possibile stabilire quanti uomini e donne sono state vittime di questa pratica, anche se i procuratori stimano che riguardi centinaia di migliaia di persone.
Le donne come Souk non sono solo vittime di matrimoni forzati, ma anche di gravidanze forzate. Le gravidanze forzate sono state riconosciute come un reato internazionale a sé, nello Statuto di Roma della Corte penale internazionale del 1998. Le donne costrette ad avere un figlio conto la loro volontà hanno riportato problemi ginecologici gravi e traumi psicologici sfociati in depressione, ansia, attacchi di panico, insonnia.
I valori conservatori del paese hanno portato molte coppie a continuare a vivere insieme. Il divorzio è un tabù in Cambogia e l’incidenza del divorzio rimane bassa. Tante donne non hanno invece avuto il coraggio di condividere la propria storia personale...

(The Post Internazionale)

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