Cedric, il migrante bambino...




Nove anni, ha viaggiato 53 giorni dalla Costa D’Avorio al Brennero. A Verona ha perso le tracce del fratello. «Il mio sogno? Fare il calciatore»

Cedric, 9 anni, è nato in Costa d’Avorio. Ha percorso 7300 km in 53 giorni per venire in Europa a fare il calciatore. Suo padre trasporta pietre, sua madre coltiva la terra. Il 26 dicembre è partito con il fratello 14enne senza dirlo alla mamma



INVIATO A BOLZANO

È nato il 20 novembre 2007 a Gbagbotta, Costa d’Avorio. Questo significa che ha nove anni.  
Ha percorso 7300 chilometri in 53 giorni per venire in Europa a fare il calciatore. «Magari un giorno giocherò nel Real Madrid». Per il momento Cedric, il bambino migrante, è a Bolzano. 

I servizi sociali lo hanno affidato a una famiglia di origini marocchine. Mamma Halima parla in francese con lui, e insieme parlano con la mamma di Cedric in Costa d’Avorio, collegati con WhatsApp: «Mi comporto bene mamma, vado a scuola e prego ogni giorno. Sì, ascolto la mia famiglia italiana, faccio quello che mi dice Halima». Anche noi ascoltiamo. Siamo tutti qui intorno alla tavola imbandita di bianco e di oro, davanti a un piatto di dolcetti squisiti e pistacchi, arachidi e tè verde, a sentire le parole di Cedric e la sua storia incredibile.  

«Sono nato a Gbagbotta, nella regione di Divo. Mio padre trasporta pietre sul camion, mia madre coltiva la terra. Abitavamo in cinque in una casa di due stanze, ma una era per le patate. Ho una sorella molto piccola. E poi c’è mio fratello Aboulaye, di 14 anni. È stato lui a dirmi che sarebbe partito per l’Europa. Perché l’Europa è bella, ha detto. E c’è lavoro. E le persone possono guadagnare così tanti soldi da comprare una casa nuova ai genitori. Allora, io l’ho pregato: portami con te, Aboulaye. Voglio partire anche io, gli ho detto. Voglio andare a giocare a calcio in Europa. Così ci siamo messi in viaggio il 26 dicembre. Siamo partiti alle 6 di mattina senza dire niente a nessuno. Avevo questa maglietta della nazionale, un paio di pantaloni neri, delle scarpe da ginnastica rosse e il documento con sopra scritto il mio nome». E non avevi paura, Cedric? «Mio fratello Abulaye non ha paura di niente. Ero soltanto triste. Perché non lo avevamo detto alla mamma».  

Dopo aver attraversato il Burkina Faso in pullman, Cedric ha scoperto quanto fosse grande il deserto del Niger: «Ogni giorno era uguale. Sul pickup eravamo in 18. I guidatori erano tre e si alternavano al volante. Ti dicevano loro quando potevi fare la cacca o fermarti a pregare. Se riuscivano tutti e tre a stare svegli, allora viaggiavamo sempre, in continuazione. Altrimenti, dormivamo a terra. Io e Abulaye avevamo un bidone da 5 litri d’acqua in due. Faceva molto caldo. Tre uomini sono stati male, avevano fame e volevano fermarsi. Allora uno di quelli che guidava li ha colpiti con un bastone, ha detto che se non la smettevano di lamentarsi li lasciava nel deserto a morire. Abbiamo impiegato due settimane, credo, per arrivare».  

Il primo posto in Libia si chiama Sabha. È il capoluogo del distretto di Fazzan, Centro-Sud. «Siamo stati fermi in una grande stanza per dieci giorni. In quella casa ci aspettava un arabo, ci ha contati. Era lui a darci riso, poi di sera il latte e il pane. Non ci sono stati problemi, perché mio fratello Abulaye aveva già pagato tutto. Ha detto che io e lui andavamo in Germania e che ci venivano a chiamare quando potevamo partire. E così è stato. Un giorno ci hanno portati a Zuara. Io non avevo mai visto il mare. Eravamo tantissimi. Ogni arabo contava il suo gruppo, per nome e per numero. Ecco perché so esattamente quanti eravamo sulla nostra barca. Era una di quelle barche con dentro l’aria soffiata dalla bocca, di plastica. Dentro eravamo 152. Un’altra barca uguale, vicina, aveva 186 persone».  

Così sono partiti ancora. Cedric adesso mangia una sfoglia al cioccolato, poi ricomincia a raccontare: «Era notte. Un signore arabo ha guardato il cielo e ha detto: “L’Italia è di là”. Ha detto che dovevamo infilarci dentro due stelle e seguire quel passaggio. Ha dato un telefono che faceva rumore ogni volta che sbagliavamo strada dentro al mare. Poi ha urlato: “Andate”. Uno teneva il motore, un altro teneva il telefono. Non avevamo acqua da bere, non avevano i giubbotti di salvataggio. E poi è successa una cosa». Cosa è successo, Cedric? «Vicino a noi è arrivato un altro arabo con la moto nell’acqua. Ha chiesto un foglio firmato. Mi ricordo che quel foglio era dentro un sacchetto di plastica, perché non doveva assolutamente bagnarsi. Mi ha spiegato Abulaye che se non hai quel foglio, l’uomo sulla moto può ribaltare la barca e fare morire tutti annegati. Ma noi avevamo il foglio. Quello che guidava l’ha dato all’arabo. Lui è andato via. E noi siamo andanti avanti ancora per due ore seguendo le stelle. Fino a quando abbiamo visto una luce puntata contro di noi. Qualcuno che diceva nel megafono: «Mettetevi tutti seduti, stati fermi, non agitatevi!». E noi lo abbiamo fatto. Sono stati loro a darci i giubbotti e tirarci in salvo». Avete festeggiato? «Cosa?», dice Cedric. «Mio fratello ha detto che noi dovevamo andare in Germania».  

L’Italia è qualcosa di informe. Cedric non ricorda il porto di attracco, un nome di città, nulla. Soltanto questo: «Hanno diviso i bambini dagli altri. Abbiamo dormito per due giorni sotto una tenda. Poi mio fratello è tornato con i biglietti del treno. Ha detto: andiamo a Monaco di Baviera. Eravamo alla stazione di Verona, quando mi sono addormentato. Aspettavamo un altro treno, il terzo. L’ultima cosa che mi ha detto Abulaye è stata: “Vado in bagno”. Mi sono svegliato alla mattina e non c’era più».  
Sono 3557 i minori non accompagnati sbarcati in Italia dall’inizio dell’anno, nel 2016 erano stati 25 mila 846. Nessuno più piccolo di Cedric. Il migrante bambino è partito il 26 dicembre dalla Costa d’Avorio, l’hanno trovato il 18 febbraio su un treno, alla frontiera del Brennero. Stava cercando di raggiungere in Germania il fratello Abulaye di cui nessuno ha più notizie. «Secondo me aspetta di avere un lavoro perché vuole guadagnare tanti soldi, prima di telefonare alla mamma. Un giorno Abulaye farà costruire una grande casa per la nostra famiglia».  

Quando l’hanno identificato per la prima volta, Cedric non aveva niente con sé, a parte il certificato di nascita. Ma ricordava a memoria il numero di telefono di casa. «Me l’hanno insegnato a scuola. Perché quando in paese vengono quelli che vogliono tagliare le teste ai bambini devi subito chiedere aiuto».  
Serena Valenti, 29 anni, assistente sociale, ogni giorno segue i progressi del piccolo Cedric. Frequenta la prima media. Parla già un buon italiano. Abita con la sua nuova famiglia sulla collina degli optanti di Bolzano, dove vennero ad abitare gli austriaci che al tempo del nazismo scelsero l’Italia. Ogni cosa, adesso, qui sembra al suo posto, la maglietta della nazionale della Costa d’Avorio sta girando nella lavatrice. Sotto casa c’è un campetto da pallone. Oggi Cedric inaugurerà un paio di scarpe nuove...

(La Stampa Italia)

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