ABUSATI SESSUALMENTE, PRIVATI DEL SONNO E UMILIATI: COME LE DONNE VIOLENTANO GLI UOMINI IN ITALIA...




Sono quasi 4 milioni gli italiani che hanno subito violenza sessuale una volta nella vita. TPI ha intervistato la presidente dell'unico centro per uomini vittime di abusi

Se ne parla poco, forse troppo poco. Ma a essere vittime di violenza – fisica, psicologica e sessuale – non sono soltanto le donne. 
È difficile comprendere la misura del fenomeno. Se le donne fanno fatica a denunciare le violenze, per gli uomini è praticamente impossibile trovare un modo per chiedere aiuto e ottenerlo.
Pasquale Giuseppe Macrì, docente di medicina legale presso l’Università di Siena, ha realizzato il primo e unico studio sul tema in Italia. La ricerca risale al 2012 e ha rilevato che oltre 3,8 milioni di uomini – il 18,7 per cento del totale – hanno subito almeno una violenza sessuale a opera di una donna nel corso della vita. 
Per delineare i contorni del fenomeno e comprendere meglio quali dinamiche si nascondano dietro questa forma di violenza, TPI ha intervistato Patrizia Montalenti, presidente di Ankyra, l’unico centro in Italia che accoglie a Milano uomini vittime di abusi.
Quando parliamo di violenza sugli uomini pensiamo più facilmente a quella psicologica. Ma si tratta davvero di questo tipo di violenza?
No, nella maggior parte dei casi gli uomini subiscono violenza fisica a tutti gli effetti. Questa è una cosa che il senso comune non immagina neanche. Io non ho visto un caso in cui non ci fosse anche violenza fisica. 
Si parla anche di violenza sessuale?
Sì, certo. La violenza sessuale si sostanzia in modo diverso da quella che subiscono le donne. È improntata su una sorta di svilimento del maschio, di denigrazione del soggetto.
La violenza sessuale può anche manifestarsi dopo la violenza fisica: la donna dopo le percosse può chiedere del sesso all’uomo. In quel caso il rapporto viene vissuto male dal soggetto coinvolto.
Viene da chiedersi come mai l’uomo non si ribella alle violenze. In fondo potrebbe reagire grazie alla sua maggiore prestanza fisica…
Purtroppo non è così semplice come immaginiamo. Dobbiamo prima di tutto pensare che l’uomo si vergogna da morire, come probabilmente negli anni Settanta si vergognavano le donne ad ammettere di essere vittime di maltrattamenti.
L’uomo non rivela queste situazioni neanche al suo miglior amico: preferisce parlare con professionisti. Ecco perché si rivolgono a noi direttamente.
Perché l'uomo non si difende?
Non lo fa per due ragioni. Da una parte, non vuole far del male alla sua compagna perché è consapevole della maggiore forza di cui è dotato fisicamente. Dall’altra, l’uomo sa che se dovesse reagire alle violenze, molto probabilmente la partner andrebbe dalle forze dell’ordine e lui non verrebbe creduto.
Ci può fare un esempio?
Ho seguito il caso di un signore che era andato a denunciare di sua spontanea volontà le violenze ai carabinieri ed è stato deriso da loro per tutto il tempo in cui faceva la querela.
Ma l’uomo come si comporta quando chiede aiuto?
Quando ci chiama, ci chiede una soluzione prima per la compagna. “Come si può fare per far curare la mia fidanzata, come si può aiutarla a venirne fuori?”, è la frase tipica.
Nella maggior parte dei casi non c’è l’idea di farsi aiutare per porre fine alla relazione. C’è il forte desiderio di salvare l’unione, di giustificare quelle violenze. Quando si parla di sentimenti non è tutto scontato, non c’è un percorso comune.
Che altro tipo di violenza subisce l’uomo?
C’è molta privazione del sonno. Anche quella è una violenza. Se tu mi tieni sveglia tutta la notte a imprecare e a parlare, e lo fai per tre giorni di seguito, comincia a diventare insostenibile.
Poi c’è la violenza psicologica…
Sì, soprattutto quella che riguarda i figli. Agli uomini la compagna presenta la minaccia di non farglieli più vedere. Questo è il più classico dei casi.
Ma chi sono gli uomini che subiscono violenze? Ci può delineare un profilo?
Nel 2016 abbiamo seguito 40 persone provenienti da tutta Italia. Sono uomini che ci contattano anche dal sud e dal centro. Il ceto di appartenenza è medio alto, ma forse perché non è così semplice trovarci. Bisogna conoscerci, non ci facciamo pubblicità perché non riusciamo a seguire troppi casi.
Dall’inizio del 2017 a oggi abbiamo ricevuto già 50 chiamate, lo scorso anno sono state un centinaio.
Sono persone che non hanno nessuno, che non possono contare su un vero appoggio. Va detto che le donne possono contare su una rete internazionale di protezione. Per gli uomini non esistono associazioni di questo tipo. 
Ci sono casi che si sono risolti?
Purtroppo quando la violenza supera una certa soglia, la mediazione e la terapia di coppia sono fallimentari. Capitano dei casi in cui si prova con un percorso di guarigione, ma le donne spesso non sono pronte, fanno un passo avanti e due indietro.
Crede che il progetto del centro Ankyra resterà isolato?
Non credo sarà così ancora a lungo. Le generazioni stanno cambiando, si stanno evolvendo. Pensiamo che negli Stati Uniti, ma anche in molti stati membri dell’Unione Europea, già esistono centri che fanno accoglienza, ospitalità e che li aiutano a seguire un percorso.
Noi ci siamo costituiti nel 2013 perché credevamo molto in questa idea, abbiamo cominciato ad accogliere le persone nel 2014 basandoci sulla disamina di quanto già succedeva negli altri paesi.
L’Italia arriva in ritardo, sempre, ma alla fine ci arriva...
(The Post Internazionale)

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