Napoli, il caso dei baby boss tolti dal tribunale alle famiglie...




Dediti allo spaccio e fuori controllo, vengono allontanati dai parenti e trasferiti al Nord. Ma la vendetta dei genitori, spesso assenti o collusi, è dietro l'angolo. Già sei i provvedimenti in una settimana.




A Sparta, all'età di sette anni, i bambini venivano tolti alle famiglie ed educati dallo Stato. A Napoli sta succedendo una cosa simile coi figli dei camorristi. Allontanati dalle fogne di illegalità e di immoralità in cui sono nati e trasferiti altrove. Dove "altrove" non è solo avverbio di luogo ma anche di tempo. Proiettati in un futuro diverso da quello che la genetica, l'anagrafe e il Caso hanno ipotecato per loro. I muschilli di cui scriveva Giancarlo Siani negli Anni 80, che custodivano e spacciavano l'eroina mettendosela nelle mutande, oggi sfrecciano sui motorini, tagliano la cocaina con l'acetone e prendono le ordinazioni dei tossici al cellulare. Non sono adulti solo per questione di centimetri. D'altezza.
GLI "ORFANI DELL'ARMA". Due di loro hanno iniziato da qualche giorno una nuova vita al Nord, in una casa famiglia. Vengono da Pizzofalcone, il budello a poche decine di metri dalla sede della Regione Campania. Li chiamano (ingiustamente) gli "orfani dell'Arma", nel vicolo, come se i carabinieri gli avessero ammazzato i genitori mandandoli in galera per droga nel maxiblitz di un mesetto fa. I due – 12 e 15 anni – non avevano più nessuno a casa. Madre e padre, zii e cugini più grandi sono ospiti del "Grand Hotel Poggioreale". Gli adulti facevano parte di una agguerrita organizzazione che smerciava dosi di cocaina e hashish nella Napoli-bene; e loro, i minori, stavano imparando il mestiere sul campo aiutando a confezionare i pacchetti e a gestire le piccole provviste di stupefacenti di emergenza.
STORIE DI DEGRADO E DEVIANZA. I giudici minorili ne hanno deciso l'allontanamento dalle famiglie perché il «contesto familiare, territoriale e sociale» era «gravemente pregiudizievole» al punto da «compromettere la possibilità di un equilibrato sviluppo della personalità con conseguente rischio di devianza». Sono sei in totale i minori affidati ai servizi sociali nell'ultima settimana. Storie eterogenee di degrado e di devianza. Come quella del bambino segnalato decine di volte dalle forze dell'ordine tra i calciatori delle lunghe e rumorose partite di pallone che si giocano, dopo le due del mattino, nella centralissima Piazza del Plebiscito, di fronte alla Prefettura e a Palazzo Reale. I genitori, con complicate storie criminali alle spalle, non esercitavano su di lui alcun tipo di controllo. Lo lasciavano a briglia sciolta.
“Questi minori vivono in un ambiente in cui il crimine è normalità e quotidianità, un circolo vizioso che bisogna spezzare"
                                      GIOVANNI COLANGELO, PROCURATORE DI NAPOLI

«Questi minori vivono in un ambiente in cui il crimine è normalità e quotidianità», ha detto il procuratore di Napoli Giovanni Colangelo, «un circolo vizioso che bisogna spezzare». «In certi casi è una misura che non si può non prendere», gli ha fatto eco l'ex presidente del tribunale dei minorenni Melita Cavallo. «Certi contesti familiari sono solo dannosi, dunque è giusto allontanare i figli da genitori come quelli che li utilizzano per trafficare droga». Di tutt'altro avviso il giudice Nicola Quatrano che, in un intervento sul Corriere del Mezzogiorno, ha bocciato la proposta: «Mi sembra chiaro che, al di là delle sicure buone intenzioni, questi allontanamenti abbiano un oggettivo carattere punitivo».
ALCUNE FAMIGLIE RINGRAZIANO. Il ragionamento della toga parte da un presupposto: «Più che aiuto o sostegno, qui c'è aria di sanzione. E nemmeno del reato, ma piuttosto del contesto, della famiglia in cui si è nati, perché a nessuno è mai venuto in mente di togliere i bambini ai genitori di altre classi sociali che, per esempio, evadono il fisco e magari se ne vantano in famiglia, o di rapire all'alba il figlio che il furbetto del cartellino aveva portato a spasso durante le ore di ufficio». La procura partenopea è intenzionata a ripetere l'esperimento. Ma come la prendono i diretti interessati? Secondo il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho, il primo in Italia a ragionare su simili provvedimenti, le famiglie dei malavitosi capiscono e si adeguano. «Ci ringraziano», dice il capo dell'ufficio giudiziario. Non sempre è così facile.
ALTRE SI VENDICANO. Nell'aprile scorso, la caserma dei carabinieri di Secondigliano, il quartiere dove lo spaccio è un "ammortizzatore sociale" per migliaia di famiglie, finì bersagliata da 26 colpi di kalashnikov. La prima pista battuta dagli inquirenti fu la vendetta per una serie di retate che avevano svuotato le aree di smercio della cocaina nei rioni vicini oppure la dichiarazione di guerra di qualche boss megalomane nostalgico dei tempi cupi dell'attacco allo Stato sferrato dai Corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano. La verità era un'altra e gli inquirenti ci arrivarono con un articolato lavoro di intelligence sul territorio. A volere l'attentato era stato un latitante, accusato di traffico di droga, per vendicarsi dell'allontanamento dei tre figli piccoli dall'abitazione della madre. Allontanamento deciso per impedire eventuali rappresaglie scatenate dal pentimento del fratello di lui. In fondo, i carabinieri volevano proteggere la famiglia del ricercato. E lui non l'aveva capito...
(Lettera 43)


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