Karim, il musulmano che ha trasformato il cimitero cattolico in giardino...




Ogni giorno il profugo guineano, accolto dalla cooperativa “l’Albero e la Rua”, agghinda il cimitero di Poppi, dove partecipa emotivamente alle preghiere delle vedove e dei vedovi che pregano i loro cari



Lui è musulmano, ma ogni giorno partecipa emotivamente alle preghiere (cristiane) delle vedove e dei vedovi che arrivano al cimitero di Poppi per salutare i propri cari defunti. Lui è Karim Kaba, 21 anni, profugo guineano accolto dalla cooperativa “l’Albero e la Rua” del gruppo 100 fiori. E’ richiedenti asilo e svolge lavori socialmente utile al cimitero di Poppi, che nel corso dei mesi ha trasformato in un vero e proprio giardino, togliendo le erbacce e piantando fiori e piante.

Una bella storia, quella di Karim, che ha passato molte sofferenze. Ha attraversato Mali, Burkina Faso e Niger prima di arrivare in Libia. Qui la prigione e poi il viaggio su un barcone alla volta di Lampedusa. Adesso il volontariato al cimitero: "Quando sono qui prego per l'anima di mio padre e partecipo alla preghiera di coloro che vengono in questo cimitero per i loro morti. Tenere pulito e rendere accogliente il cimitero è un lavoro che dobbiamo fare tutti: è il luogo dove avrà fine la nostra vita".

La gente di Poppi lo conosce. Chi non va al cimitero, lo incontra per strada mentre corre quando non lavora o non studia. Frequenta corsi di lingua italiana in due scuole, a Poppi e Bibbiena. "Al cimitero incontro soprattutto persone anziane e sono molto gentili. Mi salutano, domandano cosa faccio e mi ringraziano per il lavoro. Qualcuna mi chiede quale sia la mia religione ed io rispondo che è quella musulmana. Parliamo e io dico che cristiani e musulmani sono eguali perché credono in un unico dio. E le nostre sono religioni di pace".

Karim ha stretto rapporti con le operatrici della cooperativa “l’Albero e la Rua” ma anche con i dipendenti comunali con i quali collabora per il lavoro. "Mi piace questo lavoro – dice Karim - e sinceramente mi dispiacerebbe farne un altro. Però voglio studiare. Nel mio paese ho seguito corsi di matematica ma non ho potuto frequentare l'università. Lo vorrei fare qui, seguendo discipline tecniche.  Vorrei essere preparato e, se mai potrò tornare a casa, mettermi alla servizio della mia gente e del mio paese. Anche facendo politica. L'Africa ha bisogno di giovani che abbiano studiato: sono loro che mancano e possono essere la vera differenza. Non vorrei più vedere ragazze e ragazzi costretti a fuggire dalla loro terra. E subire, come è successo anche a me in Libia, il dolore della prigionia. Un dolore talmente forte che solo Allah mi sorrideva. A chi ci chiedeva se avevamo paura sul barcone verso Lampedusa dicevamo che un morto non può aver paura di morire"...

(Globalist)

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