Il “papà coraggio” che da vent’anni adotta i bambini malati terminali: «Mi occupo di loro fino alla fine»...






di Paola Arosio 

ROMA – Se ne sta in un angolo, immobile tra i cuscini del divano. Nata sei anni fa con una malformazione del cervello, è cieca, sorda, paralizzata alle gambe e alle braccia. Soffre di frequenti convulsioni e dorme seduta per evitare il soffocamento. È l’ultima bambina adottata da Mohamed Bzeek, il “papà coraggio” che da vent’anni apre le porte della sua casa, nella città di Azusa, ai bimbi malati terminali abbandonati dai genitori. «So che lei non può sentire, né vedere. Ma io le parlo, l’abbraccio, l’accarezzo», racconta l’uomo, 62 anni, al Los Angeles Times.
LA PRIMA NEONATA
Una storia che inizia a metà degli anni Novanta, quando Mohamed e sua moglie Dawn decidono di prendere in affido una neonata con la spina dorsale deformata, costretta a indossare il gesso integrale. «Non potendo sostenere economicamente le cure, la madre l’aveva abbandonata al suo destino», ricorda l’uomo. A questo primo gesto di amore incondizionato, ne seguono molti altri. Negli anni la coppia si fa carico, infatti, di numerosi bambini affetti da patologie rare o da tumori che non lasciano scampo. Con grande forza d’animo, Mohamed prosegue l’impegno anche dopo la morte della moglie, avvenuta nel 2014. Di lì a poco prende con sé un bambino ricoverato già 167 volte. «Nato con la sindrome dell’intestino corto, non poteva mangiare», spiega. «Nonostante ciò, lo facevo sedere a tavola insieme con gli altri, in modo che si sentisse parte della famiglia».



IL BUON “SAMARITANO” DELLA CONTEA
Quasi tutti questi piccoli hanno esalato l’ultimo respiro tra le braccia di Mohamed. «So che stanno per morire», dice, «ma li accolgo come se fossero figli miei, prendendomi cura di loro fino alla fine». Questo moderno “buon samaritano” è un punto di riferimento per i medici e gli assistenti sociali di tutta la contea. Dei 35mila bimbi monitorati dal dipartimento Infanzia e servizi familiari californiano, 600 sono i malati terminali che necessitano di cure e assistenza, di cui non sempre possono usufruire. Molti vengono affidati a centri specializzati, altri sono abbandonati in orfanotrofi. «Avremmo bisogno di aiuto», spiega Melissa Testerman, coordinatrice del dipartimento Affari sociali, «ma lui è l’unico disposto a tendere la mano a un bambino che rischia di non farcela».
UN SORRISO PER DIRE GRAZIE
Attualmente, Mohamed trascorre i giorni e le notti accudendo la bambina di sei anni che lotta tra la vita e la morte. Un sabato, ai primi di dicembre, aveva organizzato una festa per il compleanno della piccola, invitando anche i genitori, che non si sono presentati. In cucina, aveva acceso le candeline sulla torta, tenendola vicina al viso della bimba in modo che potesse sentire il calore delle fiammelle. È stato allora che, chinandosi per darle un bacio, si era accorto che un sorriso le illuminava il volto.


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