Con i Caschi blu l’Onu va a puttane...




A dispetto dei nobili intenti di promozione dei diritti umani, gli scandali legati a casi di abusi sessuali commessi da caschi blu o da funzionari Onu segnano la storia recente dell’organizzazione, denunciano le giornaliste Delphine Bauer ed Hélène Molinari, del progetto ‘Zero impunity’. Secondo il rapporto 2015 su sfruttamento e abusi sessuali del personale delle missioni di pace, ben 480 denunce di abusi dal 2008 al 2013, episodi ritenuti ampiamente sottostimati per occultamento e omertà.
(I disegni sono firmati da Damien Rondeau)



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La carne è debole e l’Onu anche
Bosnia, Timor Est, Cambogia, Liberia, Guinea e, più di recente, Haiti, Repubblica Centrafricana e Repubblica Democratica del Congo. Situazioni di conflitto e cresce la denuncia di stupri. Non solo.
Secondo la ricercatrice Vanessa Fargnoli, caschi blu e altri membri del personale Onu in missione si concedono il “servizio” di prostitute, anche minorenni. Nel 2005, la relazione del principe Zeid, consigliere del segretario Onu, sullo sfruttamento e gli abusi sessuali, fu una bomba. Undici anni dopo, non è stata applicata quasi nessuna delle misure che aveva proposto.
Sedici missioni, 120mila addetti
Centomila tra caschi blu e militari, il resto civili. Regole rigide: tolleranza zero nei confronti dello sfruttamento e degli abusi sessuali; divieto di rapporti sessuali con prostitute e con i minori di diciotto anni; rapporti con i beneficiari dell’assistenza Onu vivamente scoraggiati.
Ma sul campo, secondo Vanessa Fargnoli, ipervirilità, machismo, misoginia, debolezza degli stati, senso di onnipotenza e razzismo hanno la meglio sulle regole e favoriscono gli “abusi di potere che assumono una forma sessuale”.
La capitale mondiale dello stupro
Nel 2010, Margot Wallström, rappresentante speciale dell’Onu per la violenza sessuale nei conflitti, dopo la sua visita in Congo, definisce il paese “capitale mondiale dello stupro” davanti ai quindici membri del Consiglio di sicurezza. Proprio ella Repubblica del Congo le denunce contro il personale Onu sono le più numerose: il 45 per cento dei casi di violenza registrati tra il 2008 e il 2013, di cui un terzo riguardano minorenni.
Tante, troppe storie orrende
Victoria Fontan, che nel 2012 era a capo di una ricerca sulla Rdc decide di mandare le sue ricerche a un giornalista canadese. Articolo sul Globe and mail: “Peacekeepers gone wild: how much more abuse will the Un ignore in Congo?”. Forze di pace a briglia sciolta: per quanto tempo ancora l’Onu ignorerà gli abusi? E l’Onu, stavolta, reagisce. Ma a cinque anni dai fatti, non c’è nessuna traccia tangibile dell’avvio di un’inchiesta negli archivi dell’Onu, che sprofonda nella confusione.
Unità di condotta e disciplina
A New York, in fondo a un labirinto di uffici Onu, Sylvain Roy, dirigente dell’Unità di condotta e disciplina del personale delle Nazioni Unite. La sua unità dispone di circa 70 persone per più di 120mila individui da controllare. Ogni anno vengono ricevute tra le 400 e le 500 denunce di “cattiva condotta”, di cui il 15 per cento per violenze sessuali. Se la denuncia supera il filtro dell’Unità di condotta e disciplina, il dossier viene poi trasmesso all’Ufficio per i servizi interni.
Indagini di facciata
L’Unità di condotta e disciplina costituisce un primo ostacolo, ma l’Oios non è da meno. Per il resto del tempo, aggiunge Camille, funzionario Onu, “obiettivo svolgere indagini di facciata’. Nel 2015, secondo le cifre ufficiali, sulle sessantanove denunce ricevute in quell’anno, soltanto diciassette inchieste sono state portate a termine. Tra queste, sette sono state convalidate e dieci no, per mancanza di prove o “dettagli”.
Le denuncie interne
Pensando di agire nell’interesse dell’organizzazione, alcuni dipendenti dell’Onu hanno cercato di denunciare queste disfunzioni. Ma ottenere la protezione dell’organizzazione è una battaglia lunga che sono in pochi a vincere. Gli informatori, invece di protezione hanno ottenuto il mancato rinnovo del contratto. Una ong che li protegge e che fornisce loro assistenza legale: “il 99 per cento dei 400 che hanno il sostegno delle Nazioni Unite non l’ha ottenuto”.

Insabbiatori Blu
Caroline Hunt-Matthes, inquirente per i diritti umani all’Onu, indaga sullo stupro di una rifugiata minorenne dello Sri Lanka da parte di un dipendente Onu nel 2003. “Poiché la ragazza non aveva pianto mentre era interrogata, il rappresentante del segretario generale aveva deciso che lo stupro non aveva avuto luogo. Caroline porta avanti la sua indagine e si scontra con la gerarchia. Il contratto di Caroline Hunt-Matthes non sarà rinnovato. Ricorso amministrativo, e il tribunale dice, “atto di rappresaglia”.
13 anni di contenzioso
L’ex funzionaria è oggi al suo tredicesimo anno di procedimento, che fa del suo caso il più lungo della storia dell’Onu. Nel 2013 l’attuale segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, all’epoca alto commissario per i diritti umani, ha avuto l’opportunità di intervenire e non ha fatto nulla. Caroline Hunt-Matthes comparirà di nuovo a marzo del 2017 per l’ennesima udienza al tribunale del contenzioso amministrativo dell’Onu. C’è qualcosa che non va, al ‘Palazzo di vetro’ di New York.
Indagini omertose
L’Onu avrebbe svolto indagini autonome senza avvisare lo stato dove il crimine è stato commesso. Irregolare e peggio. Le indagini interne Onudurano mediamente mediamente sedici mesi, e gli stati, se non avvertiti, non sono in grado di mettere i presunti aggressori in condizione di non nuocere. L’organizzazione ha deciso di essere zelante per fare meno rumore possibile o per evitare, in caso di fatti accertati, il ritiro dei contingenti coinvolti?
Realpolitik senza vergogna
Con un bisogno sempre crescente di truppe (in dieci anni il personale sul campo è raddoppiato), l’Onu tenta di mantenere buoni rapporti con i paesi che forniscono contingenti. Caso Haiti 2012, quando dei soldati pachistani della missione Onuvengono arrestati per lo stupro di un ragazzo disabile di tredici anni. Le autorità haitiane vogliono togliere l’immunità e processare gli imputati in una corte marziale locale. Ma il ragazzo sparisce. Rapito. Scandalo e salta il comandante. Troppo poco.
Opportunismo senza confini
Il Pakistan, con i suoi settemila soldati, è il secondo fornitore mondiale di truppe Onu. Caso Haiti,
i pachistani coinvolti sono giudicati colpevoli dalla corte marziale. I due violentatori sono stati condannati a un anno di carcere. Il comandante che avrebbe commissionato il rapimento è stato tuttavia “interdetto dal partecipare a future missioni di pace”. Ai colpevoli Onu vanno pene simboliche o inesistenti, come nella maggioranza delle denunce che non vedono l’ombra di un tribunale.
Immunità, impunità
Ufficialmente, l’Onu conta quindi sui paesi contributori per punire gli aggressori, scommettendo sulla loro buona fede. Ufficialmente. Perché, una volta svolta l’indagine, nulla è ancora deciso. La missione deve decidere sul rimpatrio dell’accusato, poi bisogna vedere se il suo paese d’origine lo perseguirà al suo ritorno. Assenza di inquirenti internazionali, prove non ammissibili nei tribunali
E quei 1.694.694 di preservativi?
Quesi 2 milioni di preservativi soltanto in Congo al personale dell’Onu tra il 2012 e il 2013, qualcosa forse possino svelarci. L’accanimento dell’Onu a difendere la propria immagine mette in secondo piano le vittime. Perdute in un dispositivo che favorisce l’impunità, non conoscono i loro diritti. Persino il Trust fund, lanciato a marzo del 2016 allo scopo di rafforzare l’aiuto di prima urgenza accordato ai sopravvissuti ad aggressioni sessuali commesse da personale Onu, sembra una chimera.
La trasparenza alle Nazioni Unite
L’inchieste delle due ricercatrici ha trovato ostacoli e qualche raro aiuto. Alle Nazioni unite, qualche aiuto dovuto e il tentativi finale di frenare la pubblicazione. Questa inchiesta, scritta con la con la collaborazione di Daham Alasaad, fa parte di una serie in sei parti del progetto Zero Impunity, che documenta e denuncia l’impunità di cui godono i responsabili di violenze sessuali in contesti di guerra...

(RemoContro)

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