"Aiutò ragazzino siriano a entrare in Svezia": condanna lieve al giornalista umanitario...




Due mesi con la sospensione condizionale della pena e 75 ore di lavoro socialmente utile. Così l'esito del processo a carico di Fredrik Önnevall, noto reporter, imputato, insieme a cameraman e interprete, per concorso in ingresso illegale del quindicenne Abed da un campo profughi greco alla Svezia. Lui: "Rifarei tutto" 

                                                                           Fredrik Önnevall con il quindicenne Abed



MALMOE – Colpevole di complicità in immigrazione illegale, ma non andrà in carcere. Ha ricevuto una condanna di soli due mesi con la sospensione condizionale della pena, e dovrà fornire 75 ore di lavoro socialmente utile presso un’istituzione benevola caritativa o umanitaria. Con questa sentenza, attesa con ansia dai media di tutto il mondo e giudicata a caldo mite e comprensiva da stampa e tv, ambienti politici e osservatori, si è concluso oggi alle 11 in punto a Malmoe, la città svedese del sud, il processo a carico di Fredrik Önnevall, famoso giornalista televisivo, del suo cameraman e del suo interprete. Erano imputati per aver aiutato un allora 15enne siriano che avevano conosciuto in un campo profughi in Grecia – vi si trovavano per un reportage – a entrare in Svezia.

Si erano impietositi del dramma del ragazzo, così spiegarono Önnevall e i suoi colleghi nel servizio che poi trasmisero, e decisero che l’imperativo etico di salvarlo dal rischio di un pericoloso, forse mortale tentativo di passaggio di confine abusivo intasato su un camion o affidato a trafficanti senza scrupoli, doveva avere la priorità rispetto all’imperativo valido per ogni cittadino, di rispettare le leggi del suo Stato.
        
"Non rimpiango nulla, lo rifarei”, aveva detto Fredrik Önnevall in dichiarazioni all’inizio del processo, nell’ultima settimana di gennaio. Il Pubblico ministero Kristina Amilon aveva chiesto una condanna senza condizionale a tre anni di reclusione: “Non stiamo dibattendo di una questione morale, ma del rispetto delle leggi", aveva detto. Nonostante la clemenza del verdetto rispetto alle richieste del pm, Önnevall non si è detto soddisfatto e ha subito annunciato che presenterà appello. Il suo obiettivo è far ammettere alla giustizia che il soccorso a una persona, oltretutto minorenne, in grave pericolo, non può essere equiparato al generico reato di concorso in ingresso illegale nel paese.
    
"Ero psicologicamente preparato alla possibilità che il processo si concludesse così come si è concluso, ma non è la fine, è solo l’inizio", ha dichiarato Oennevall subito dopo la lettura della sentenza. E ha aggiunto: "Presenterò subito appello".
        
Il caso di Oennevall ha posto tra l’altro il grave dilemma del ruolo dei giornalisti che si trovano, reporter o inviati speciali, a riferire e informare di eventi tragici. Due scuole di pensiero si sono confrontate nel vicace dibattito pubblico in Svezia: la prima, secondo la quale il giornalista deve riferire, fare reporting e restare neutrale, spettatore impegnato nel lavoro d’informare. La seconda, secondo cui invece a fronte di un dramma o di un’emergenza il reporter può trasformarsi in parte attiva dell’evento, se è mosso da quelli che percepisce come urgenti e seri motivi umanitari.
        
Accadde in un campo profughi in Grecia nel 2014. Là Oennevall e la sua troupe conobbero il 15enne Abed. Il ragazzo li implorò di aiutarli. Loro commossi non se la sentirono di lasciarlo solo, e riuscirono a portarlo in Svezia nascosto nel loro furgone di servizio. Adesso Abed è esule riconosciuto, la sua famiglia lo ha raggiunto, egli si è integrato nella società del paese nordico, e vede regolarmente Oennevall il suo salvatore e violatore della legge.

Senza dirlo apertamente, il giornalista e il suo team si sono di fatto ispirati al principio di Antigone, l’eroina tragica di una delle più importanti tragedie di Sofocle, Antigone che si sacrifica violando la legge del re di Tebe Creonte per seppellire in città il cadavere del fratello Polinice, la cui sepoltura era stata vietata dal sovrano
in quanto Polinice aveva combattuto contro Tebe. Pietà e amore familiare valgono più delle leggi e delle priorità del potere, insomma. Vedremo come andrà a finire al processo d’appello, il dibattito sul tema posto da Oennevall continua e coinvolge i media globali...

(R.it Esteri)

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