Non ce lo dicono ma in Iraq sta andando male...




Due attentati e decine di morti tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017. Città bersaglio la capitale Baghdad. Il 31 dicembre due esplosioni hanno provocato almeno 29 morti e 50 feriti. Il 2 gennaio un attentatore kamikaze ha fatto schiantare un’autobomba contro un mercato nel centro di Sadr City, quartiere a maggioranza sciita. Trentanove i morti e oltre 60 i feriti. Sempre a Sadr City, altre esplosioni hanno provocato circa trenta morti.



Distratti da Istanbul
Distratti dalla sfida sulla porta di casa dell’Europa a Istanbul, avevamo dimenticato la battaglia di Mosul e la partita decisiva in Iraq. Due attentati e decine di morti tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017. Città bersaglio la capitale Baghdad, con più di 100 morti in più attentate, sempre mirati alla comunità sciita. Chi salverà l’Iraq dallo Stato Islamico? si chiede LookOut. Perché lo Stato Islamico ha confermato la propria capacità di colpire in Iraq come e quando vuole, e la scelta di concentrare le offensive su Baghdad negli ultimi giorni non è stata causale.
Un Capodanno di fuoco
ISIS ha colpito il 2 gennaio lanciando un nuovo messaggio di sfida all’Occidente e alla Francia il giorno della visita del presidente francese Francois Hollande. La Francia schierata tra la capitale ed Erbil, nel Kurdistan iracheno con circa 500 militari oltre a 30 aerei Rafale. Ad Erbil ci sono anche gli addestratori italiani, carabinieri soprattutto, e i timori sono legittimi. Hollande, presidente in uscita, rilancia la sfida, perché solo “combattendo l’ISIS qui in Iraq che si possono previene atti di terrorismo sul nostro territorio”.
Hollande e Al Baghdadi
Verità o azzardo, Hollande parla sovrastato da esplosioni che dimostrano quanto ISIS sia ancora forte in Iraq. È il portavoce del Pentagono Peter Cook a informare il mondo che il Califfo Abu Bakr Al Baghdadi è “vivo e guida ancora l’organizzazione jihadista”. E per l’Iraq si prepara un 2017 molto difficile. Prosegue a rilento la campagna militare della Coalizione a guida Usa. Era stata annunciata come la più grande offensiva di terra compiuta in Iraq dai tempi dell’invasione americana nel 2003 che portò alla caduta di Saddam Hussein, ma sta procedendo molto più lentamente rispetto al previsto.
La battaglia di Mosul
Sul campo truppe e corpi speciali iracheni, peshmerga curdi, milizie sciite al-Hashd al-Shaabi sostenute dall’Iran e milizie sunnite, coperti dall’alto dai caccia della coalizione internazionale. Ma il fronte anti-ISIS ha ripreso solo un quarto della città controllando circa il 60% della sua parte est, dichiara il generale Abdulwahab al-Saadi, capo delle forze speciali del Counter-Terrorism Service iracheno. Battaglia dura e tanti, troppi morti. Tra il 17 novembre e il 17 dicembre 2016 -scrive Rocco Bellantone su LookOut– solo nel settore di Ninive i caduti tra le forze irachene e peshmerga sono stati 2.300.
I ponti di Mosul
Le più recenti immagini satellitari pubblicate da Stratfor mostrano che nell’offensiva aerea i caccia della coalizione internazionale hanno puntato finora a distruggere non solo basi di ISIS, ma anche i ponti che collegano la parte est e la parte ovest della città, tagliata in due dal fiume Tigri. Nell’area centrale di Mosul, quattro dei cinque ponti principali (Al Shohada Bridge, Fifth Bridge, Al Jamhuriya Bridge e Fourth Bridge) sono stati messi fuori uso dai bombardamenti aerei con l’obiettivo di impedire ai jihadisti di far arrivare a est mezzi e rinforzi. L’unico ponte che continua a essere ancora percorribile da veicoli è l’Old Bridge.
La sosprese Isis
In questa fase del conflitto, Isis si sta dimostrando in grado di aprire altri fronti di combattimento. Gruppi di miliziani jihadisti hanno attaccato una caserma nei pressi di Baiji, circa 180 km a nord di Baghdad, e il controllo della strada principale che collega le due città. Intanto, la crisi umanitaria a Mosul diventa allarmante. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati parla di oltre un milione di sfollati. Mentre sul fronte politico interno, il premier Haider Al-Abadi è messo sempre più sotto pressione dall’Iran e dall’opposizione sciita guidata dall’ex premier Nuri Al Maliki.
Promessa di liberazione
Vana la promessa di liberare il Paese dallo Stato Islamico entro la fine del 2016. Baghdad ora afferma che ci vorranno almeno altri tre mesi per centrare l’obiettivo. Missione comunque difficile perché oltre che Mosul, Isis minaccia tutto il governatorato di Al Anbar, al confine con la Siria. Dal 29 dicembre il rilancio dell’offensiva per riprendere tutta la parte est della città e, successivamente, a entrare nella parte ovest sull’altra sponda del Tigri. Inizio 2017 molti difficile, e guerra al Califfato lontana dall’essere vinta...

(RemoContro)

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