Le domande che i bambini siriani neanche fanno più...





  

Direttore Generale di Save the Children Italia

"Ma se non è rimasto sotto un bombardamento, non è stato colpito da una scheggia o da una bomba a grappolo, come è morto quell'uomo, papà?". In questa domanda fatta da un bambina di Aleppo a suo padre c'è tutto quello che significa essere bambini e genitori in Siria, in un paese dove i più piccoli non sanno cosa significhi morire per un motivo che non ha niente a che fare con gli ordigni o i cecchini.
Un paese in cui madri e padri sono costretti a spiegare ai bambini non solo cosa sia la guerra, ma soprattutto come potrebbe essere vivere una vita senza nascondersi dai bombardamenti. "Mia figlia ha cinque anni ed è nata quando questo conflitto era già iniziato e non sa nulla della vita normale. È abituata a vedere le strade in rovina, pieni di detriti, le case senza pareti o soffitti, gli alberi rotti o bruciati. Non mi ha mai chiesto di andare a giocare al parco, perché lei non ne ha mai visto uno.
Quando è nata ad Aleppo già non ce n'erano più, erano tutti distrutti. Lei non sa cosa significa morire di "morte naturale", per lei la guerra è naturale", racconta il padre di quella bambina. Per i bambini di Aleppo e di tutte quelle aree della Siria che sono sotto le bombe la guerra è naturale. Ci sono centinaia di migliaia di persone in tutto il paese che ancora vivono sotto assedio, senza cibo, cure mediche, scuole.
Tra di loro centinaia di migliaia di bambini che non sanno che esistono colori che non siano sbiaditi dalla polvere delle macerie, non conoscono il rumore delle voci dei loro coetanei che giocano in un parco ma solo quello delle bombe e dei cecchini. "Perché non abbiamo più una casa? Perché siamo qui al freddo e non abbiamo da mangiare?".
Queste domande i bambini in Siria non le fanno quasi più, forse perché i loro padri e le loro madri una risposta non ce l'hanno. E probabilmente non sarebbero neppure loro a dovergliela dare, ma l'intera comunità internazionale che da quasi sei anni non riesce a trovare una soluzione a questo sanguinoso conflitto. In questi giorni una pesante tempesta di neve ha colpito il nord-ovest della Siria, aggravando le condizioni di migliaia di famiglie che sono fuggite da Aleppo est e quelle dei civili che rimangono ancora intrappolati.
Decine di migliaia di persone sono arrivate nell'area di Idlib negli ultimi giorni, con poco più dei vestiti che avevano indosso quando sono fuggiti e ora dormono in edifici e tende non riscaldate, mentre le temperature scendono sotto lo zero. Tra gli sfollati ci sono bambini e neonati arrivati in condizioni di salute critiche, dopo aver trascorso mesi senza cibo né cure.
Save the Children sta fornendo loro beni alimentari, coperte e kit di emergenza per migliaia di famiglie sfollate e sta supportando con aiuti ulteriori, scuole e strutture sanitarie. Al punto di incontro dove gli autobus arrivano da Aleppo, vediamo bambini in stato di choc di fronte alla distribuzione dei pasti caldi o della frutta, che corrono giù dagli autobus per accaparrarsi una mela o una banana, rischiando di perdere nella confusione anche i loro genitori.
Alcuni non vedono frutta da almeno sei mesi e sui loro volti, così come su quelli di tanti adulti, i segni della malnutrizione sono evidenti. Per giorni, in attesa dell'evacuazione, i bambini hanno sofferto la fame, e ora sono esausti, alcuni di loro malati e ovviamente traumatizzati. Quando arrivano, i loro volti e le loro mani sono completamente neri e ricoperti di polvere di carbone, dopo che per giorni sono stati costretti a bruciare mobili e qualsiasi altra cosa pur di riscaldarsi.
Così vivono i bambini in Siria, un paese in cui la guerra, la fame, il freddo sono ormai la normalità. Un paese in cui un padre non sa come spiegare a sua figlia che non è normale che la morte arrivi con le bombe e che non è normale neppure che gli unici colori che conosce sono quelli delle macerie...
(L'Huffington Post)

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