Il Natale (che non esiste) nella Nigeria ostaggio di Boko Haram...




La voce dei cooperanti. Nel paese due milioni di sfollati, 244 mila bambini gravemente malnutriti, 49 mila quelli che rischiano di morire.



“La situazione è drammatica. Molte zone sono sotto il controllo di Boko Haram, lì non entra nemmeno l’esercito. Al confine con il Niger, nei pressi della Sambisa Forest, le persone stanno letteralmente morendo di fame. Per loro non esiste Natale: la priorità è quella di sopravvivere”: Massimo Salvadori, Area manager West Africa per Coopi, in questi giorni si trova nella capitale nigeriana per una serie di missioni di monitoraggio nel Nord-Est del Paese, tra Yobe e Borno, due dei tre stati indicati come ‘state of emergency’ (il terzo è Adamawa) per la presenza di Boko Haram.

In Nigeria metà della popolazione è di religione musulmana e vive soprattutto nel Nord, l’altra metà è cristiana e vive nel Sud: “In realtà, c’è molta commistione: la convivenza è assolutamente pacifica, non ci sono tensioni. A Maiduguri, la capitale del Borno, per esempio, le chiese sorgono a fianco delle moschee. E tutti, sia musulmani sia cristiani sono vittime della violenza del terrorismo fondamentalista”. Salvadori racconta che in Nigeria – ma anche in molte altre zone dell’Africa occidentale – è abitudine che i musulmani invitino i cristiani a passare insieme le festività religiose e viceversa: “Naturalmente vale anche per il Natale: chi riesce a celebrarlo lo fa anche insieme con gli amici musulmani. La messa del 25 dicembre, il pranzo: un momento importante di condivisione del cibo e delle tradizioni”. Ci sono zone, poi, come la stessa Abuja, dove ci si avvicina al Natale tra regali, addobbi e luminarie: “Abuja è supermoderna: i supermercati sono pieni e si fanno tanti progetti sul cenone”.

Salvadori sottolinea che poco più di un mese fa è stata ufficializzata la scissione di Boko Haram: da un lato, l’organizzazione terroristica nigeriana; dall’altro l’“Islamic State’s West Africa Province” (Iswap), la provincia occidentale africana dello stato islamico: “Questa divisione ha aggravato la situazione. Le strategie non sono chiare, c’è tensione tra i due gruppi. Ci sono aree in cui la sicurezza di popolazione e cooperanti, staff internazionali inclusi, è perennemente messa in discussione. Da fuori la Nigeria è percepita da molti come un Paese solido con un’economia forte, ma così non è”.

Sono tanti, infatti, i problemi con cui il Paese più popoloso del continente africano è chiamato a fare i conti. Boko Haram, certo, ma anche le frizioni tra allevatori e agricoltori nella cosiddetta “middle belt”, la cintura di mezzo: per colpa delle progressiva desertificazione, gli allevatori si spostano sempre più a sud, andando a finire sui terreni coltivati dagli agricoltori. Ci sono i gruppi armati nel Delta del Niger, dove operano varie compagnie petrolifere. C’è la situazione sempre più complessa nel Biafra, Sud-Est nigeriano, con gruppi di indipendentisti che violano costantemente i diritti umani. C’è l’incessante crescita demografica, che farà della Nigeria, nel 2015, il terzo Paese più popoloso del mondo. “L’abbassamento dei prezzi del petrolio e i gruppi armati nel Delta del Niger sono pericolosi per la tenuta economica. In Nigeria le materie prime costano moltissimo, il cibo costa moltissimo”.

In totale ci sono circa 2 milioni di sfollati; e 4 milioni e 700 mila persone sono in stato d’insicurezza alimentare, ovvero non soddisfano il fabbisogno giornaliero di Kcal. A farne le spese sono soprattutto le donne – che solitamente mangiano dopo gli uomini – e i bambini. Parlando di bambini, 244 mila sono gravemente malnutriti (si calcola che nel 2017 saranno 400 mila), 49 mila quelli che rischiano di morire. “Con Coopi attraverso il progetto Echo ci dedichiamo alla distribuzione, nel Nord-Est, del cibo e alla malnutrizione delle giovani madri e dei bambini con meno di 5 anni. Un bacino di circa 2 mila famiglie, per un totale di 20 mila persone. La distribuzione di alimenti è particolarmente importante nei periodi non di raccolto, quando i prezzi aumentano”, spiega Salvadori. Con il progetto Unicef, poi, Coopi lavora per migliorare la protezione dei bambini non accompagnati, separati o ex bambini soldato: grazie a questo percorso, 800 bambini sono stati affidati a famiglie adeguate a fornire loro assistenza e sostegno. (Ambra Notari)

(Globalist)

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