Human Rights Watch: “Gli Usa forse complici di atrocità in #Yemen”...




Nel suo ultimo rapporto l’organizzazione per i diritti umani ha anche esortato Washington a sospendere la vendita di armi all’Arabia Saudita. Richiesta subito caduta nel vuoto: ieri l’amministrazione Obama ha dato l’ok per vendere ai suoi alleati arabi elicotteri e jet da guerra per un valore superiore ai 7 miliardi di dollari

Effetti di un raid saudita a Sana’a, febbraio 2016. (Foto: © Mohamed al-Sayaghi / Reuters)
di Roberto Prinzi
– Gli Stati Uniti potrebbero essere complici delle “atrocità” commesse in Yemen a causa delle bombe che stanno fornendo all’Arabia Saudita. A sostenerlo è un rapporto pubblicato ieri dalla ong statunitense Human Rights Watch (Hrw). Secondo l’organizzazione per i diritti umani, infatti, più di 160 yemeniti sono rimasti uccisi in un mese dalle bombe che Washington ha venduto a Riyadh nonostante gli americani fossero già a conoscenza delle violazioni commesse nel Paese dalla monarchia wahhabita.
“Sta finendo il tempo per l’amministrazione Obama per sospendere la vendita di armi all’Arabia Saudita e per non essere per sempre associata alle atrocità della guerra yemenita” ha avvertito la ricercatrice dell’organizzazione, Priyanka Motaparthy.
Nel suo rapporto Human Rights Watch accusa la coalizione sunnita a guida saudita di aver commesso crimini di guerra (bombardamenti contro matrimoni, mercati affollati, ospedali e scuole) ed invita la comunità internazionale ad aprire una inchiesta indipendente che possa assicurare alla giustizia i responsabili dei massacri avvenuti nel Paese. Nel suo studio l’ong cita in particolare il raid aereo ad Arhab (cittadina a nord della capitale Sana’a) dello scorso 10 settembre in cui sono stati uccisi 31 civili e sono rimaste ferite 40 persone. Dai frammenti delle armi usate nell’attacco della coalizione saudita, scrive Hrw nel rapporto, è possibile constatare come esse siano state prodotte negli Stati Uniti nell’ottobre 2015. Ma Arhab non è un caso isolato secondo Hrw: 10 giorni dopo, infatti, i caccia del blocco sunnita hanno colpito ad Houdeida una casa a tre piani vicino uccidendo 28 civili e ferendone 32.
“Per stabilire se le armi siano utilizzate o meno contro i civili, i governi [occidentali] che vendono armi all’Arabia Saudita non possono affidarsi né alle indagini della coalizione saudita, né a quelle del governo yemenita” ha aggiunto Motaparthy. “Gli Usa e la Gran Bretagna, e tutti coloro che vendono armi a Riyadh, dovrebbero sospendere le vendite finché gli attacchi non diminuiranno e non saranno indagati [quelli avvenuti] in maniera appropriata”.
Una richiesta che è caduta subito nel vuoto: ieri infatti Washington ha venduto ai suoi alleati arabi armi per un valore superiore ai 7 miliardi di dollari. L’accordo maggiore, manco a dirlo, è stato raggiunto con i sauditi che per 3,51 miliardi di dollari hanno acquistato 48 elicotteri pesanti da trasporto Boeing 48 CH-47 F con motori di riserva e mitragliatrici. Ma a godere dell’eccellenza bellica made in Usa sono stati anche gli Emirati Arabi Uniti che verseranno nelle casse americane 3,5 miliardi di dollari per l’acquisto di 27 elicotteri d’attacco AH-64 E. Si è “limitato” il Qatar che ha comprato 7 jet militari da trasporto C-17 e dei motori di ricambio per la “modica” somma di 781 milioni di dollari.
Ma le vendite belliche americane hanno raggiunto anche il lontano Marocco a cui Washington è pronta a consegnare 1.200 anti missili Tow 2 per un valore di 108 milioni di dollari. Affari d’oro che potrebbero essere bloccati soltanto dal Congresso. Uno scenario, quest’ultimo, che appare pura utopia: l’ingente flusso di denaro fa gola negli States a politici, ma soprattutto alle grandi multinazionali di armi che hanno una forte incidenza sulle politiche americane. Di fronte a questo mix di forze le lamentele delle organizzazioni umanitarie, pertanto, lasciano il tempo che trovano.
In questo giro di affari miliardario, è perciò ipocrita l’atteggiamento di Washington che se da un lato continua a finanziare la mattanza in Yemen, dall’altro esorta l’alleato yemenita ad accettare la road map tracciata dall’Onu per raggiungere la pace con i rivali sciiti houthi. Gli inviti di Zio Sam alla pacificazione non hanno finora riscosso successo: il governo del presidente in esilio Hadi – longa manus di Riyadh in Yemen – ha già infatti scartato martedì questa possibilità definendo la proposta delle Nazioni Unite un “precedente internazionale pericoloso”. Una dichiarazione che ha fatto subito infuriare (a parole) il Dipartimento di Stato Usa che si è detto “deluso” per la risposta negativa dell’esecutivo yemenita.

E mentre il governo di Hadi (riconosciuto dalla comunità internazionale) e quello rivale di Sana’a (sostenuto ufficiosamente dall’Iran) non riescono a trovare una intesa che ponga fine alla  guerra, la situazione umanitaria continua a peggiorare. Martedì l’associazione internazionale Secondo l’organizzazione umanitaria, le importazioni di cibo ad agosto erano meno della metà necessaria a nutrire la popolazione e in questi mesi si sarebbero ulteriormente ridotte. L’Amministratore delegato del gruppo, Mark Goldring, non usa troppi giri di parole per descrivere le condizioni umanitarie del Paese: “Lo Yemen è sul punto di morire di fame”. “All’inizio – ha aggiunto Goldring – ci sono state le restrizioni sulle importazioni. Poi quando le cose sembravano migliorare, le grù al porto, i depositi, la strade e i ponti sono stati bombardati. Quanto accaduto non è avvenuto per caso, ma è [un fatto] sistematico”...
(Nena News)

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