"Bugie e jihad, così mia figlia è fuggita per raggiungere l’Isis"...
Sharin Lisa, 17 anni, è una delle centinaia di ragazze europee oggi in Siria: il padre racconta la sua storia
dalla nostra inviata TONIA MASTROBUONI
Sharin Lisa, 17 anni, è una delle centinaia di ragazze europee oggi in Siria:
LASCIAMO le scarpe all'ingresso, come si fa in tante case tedesche, e seguiamo Sascha Manè nella sua cucina lunga e stretta. Mentre prepara il caffè e comincia a raccontarci la sua storia, notiamo i tatuaggi che si arrampicano su per il collo, che gli riempiono gli avambracci. Alcuni parlano di onore, di fedeltà. Sascha ha i capelli rasati, i lineamenti duri. La dolcezza del suo sorriso sorprende, e sorprende l'incredibile calma nella sua voce. Sua madre è tedesca, suo padre della Guinea e lui è cresciuto in Germania, "secondo i valori cristiani". Valori con cui ha educato anche sua figlia, Sharin Lisa. Un anno fa, a 17 anni, è partita per la Siria e si è unita ai terroristi dell'Isis.
Nel soggiorno il televisore è acceso e racconta l'ennesimo raid della polizia tedesca a caccia dei fondamentalisti: "Troppo tardi", commenta Sascha, sedendosi sul piccolo divano. Ha l'inflessione nasale tipica degli amburghesi. "Sono contento che adesso si siano svegliati tutti, ma per quanto tempo non hanno riconosciuto questo pericolo? Lo sappiamo da anni che ci sono tredicenni, quattordicenni, che si fanno irretire da questi predicatori che insegnano stupidaggini che nulla hanno a che fare con l'Islam".
Sascha Manè (foto: Michele Princigalli)
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Un anno fa sua figlia gli racconta che vuole andare a un matrimonio in Danimarca. Sascha e la madre - i due sono divorziati - acconsentono, hanno cresciuto la figlia in libertà. Si fidano. In realtà Sharin Lisa ha un biglietto di sola andata per Istanbul. È lì che raggiunge la famiglia del suo compagno libanese. Fugge con loro in Siria, per unirsi alle milizie islamiche. E la chiave del dramma, l'anima nera della storia, è la madre del compagno. "Avevo notato che mia figlia si era radicalizzata ", racconta Sascha.
"A 16 anni aveva cominciato a mettersi il velo, a rispondermi sempre più spesso citando le sure del Corano. È stato il fidanzato a metterle quelle cose in testa, credo. Anzi, più precisamente: la madre. È stata lei a convincere tutti i figli ad andare a combattere in Siria. I due più grandi erano già partiti, quando sono stati raggiunti da mia figlia, il fidanzato e il fratello minore di 13 anni. Un fratello maggiore è già stato ucciso, l'altro è un pezzo grosso dell'Isis".
Sascha è allenatore di kick boxing, per l'intervista ci ha regalato la sua giornata libera. Ci tiene a raccontare la sua storia drammatica, se può aiutare qualcuno a tenere gli occhi più aperti. "Anche se devo ammettere che è difficile per un genitore capire il momento in cui si radicalizzano davvero". Sascha è cresciuto con un padre cattolico e ha fatto persino fare la cresima alla figlia. "Non scriva che l'ho educata secondo i principi occidentali. Scriva: cristiani. Quelli occidentali, ormai, sono quelli del capitalismo. Io ho voluto educare mia figlia con gli insegnamenti di Gesù: 'Ciò che farete all'ultimo dei miei fratelli, lo farete a me'. Questa, ad esempio, è una frase che non ha più nulla a che fare con i valori occidentali. Ed è la rinuncia a questi valori che ha creato un vuoto, soprattutto tra i giovani. Le persone nascono con dei principi morali, sanno istintivamente cosa è buono e cosa è cattivo. Poi cercano dei valori che confermino quegli istinti. E certo non possono essere quelli capitalisti della massimizzazione dei profitti a scapito di chiunque. Meglio la Bibbia o il Corano".
L'anno scorso, poco dopo la sparizione della figlia, Sascha parte. Va a Istanbul, si porta dietro una quindicina di amici che lo accompagnano persino in Siria. Ammette di essere deluso dalle autorità tedesche: "Non mi hanno aiutato per niente, hanno detto che non potevano localizzare neanche il telefonino per motivi burocratici".
Lui ci riesce. Grazie ad agganci con i servizi segreti turchi intercetta la traccia giusta, riesce a seguirla a distanza. Ad un certo punto - realizzerà dopo - la manca di una sola settimana. Ma quando si inoltra con i suoi amici per una ventina di chilometri nel territorio siriano, l'esercito lo ferma. E gli consiglia caldamente di andarsene a casa. Disperato, Sascha torna ad Amburgo, anche per non mettere a repentaglio la vita dei suoi amici.
Quando è di nuovo a casa, tenta faticosamente, dolorosamente di riagganciare la vecchia vita. E un giorno, accade il miracolo. Lo schermo del telefonino si illumina. Sascha prima fatica a capire, poi gli scoppia il cuore. È la figlia. È viva. Gli scrive cose strane, frasi religiose, frasi radicali, come al solito. Lui risponde subito. È felice, ma sa di doversi esprimere con cautela, per non irritarla, per non farla arrabbiare, per non perderla di nuovo. Per non spezzare quell'esile filo che lo farebbe precipitare di nuovo nell'inferno.
Adesso sa persino dov'è, "dalle parti di Raqqa", con le milizie in ritirata dalle bombe siriane e russe e dagli avamposti anti-Isis. È incredibile la forza di quest'uomo, la calma con cui ci racconta della figlia sotto le bombe. "E' viva e ci parliamo, ed è questo che conta", sussurra. "Domani è un altro giorno", aggiunge. Di dolore. Ma soprattutto: di speranza...R.it Esteri)
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