Tante donne e uomini coraggio avrebbero meritato questo Premio Nobel per la pace...






 

È importante che il Premio Nobel venga assegnato per sostenere i processi di pace in via negoziazione, non solo quelli già siglati, ma tanti sono gli eroi di pace che si sarebbero meritati questo riconoscimento nel 2016 sullo scacchiere mediorientale. L'opinione di Domenico Chirico, Direttore di Un ponte per...
Il Nobel è stato assegnato quest'anno al presidente colombiano Santos. I candidati erano come sempre molti e ognuno con una sua storia e dignità. Stupisce nel caso diSantos che il premio sia stato assegnato solo a lui e non anche alle Farc. La pace di solito si fa in due, mai da soli.
Nel nostro piccolo se avessimo potuto esprimere una preferenza avremmo preso in considerazione per il premio la giovane irachena Nadia Murad che, sopravvissuta alla violenza di Daesh (IS), lotta per la libertà delle donne ezide come ambasciatrice Onu. Oppure le migliaia di attivisti che si sono riuniti a Baghdad il mese scorso per l'Iraqi social forum. Sfidando violenza e attentati hanno invaso la città pacificamente per parlare di pace e democrazia. E poi, non contenti, hanno organizzato una maratona per le strade martoriate della capitale irachena, riprendendosi lo spazio pubblico che la guerra gli ha negato da quasi 15 anni.
O avrei dato il premio a Padre Najeb o a Padre Jibrael che salvano persone e allo stesso tempo biblioteche. Il primo ha trovato rifugio a più di mille persone nel nord Iraq, cristiani in fuga da Daesh, e gli ha costruito due centri di accoglienza pieni di vita e di luce. Fuori da qualsiasi logica di emergenza pura e senza chiedere nulla all'Onu o ad altre istituzioni. I due centri, che si trovano ad Erbil, si chiamano la Vigna e la Speranza. In uno di questi Najeb ha portato i libri ed i manoscritti con cui è fuggito e che sta facendo ripulire e restaurare da giovani profughe e profughi. Sono rari esempi di cultura cristiana in Medio Oriente e salvarli vuol dire salvare un pezzo di cultura e di identità in quei luoghi. Accanto a lui Padre Jibrael ha accolto e protetto centinaia di Ezidi. Per loro, con l'aiuto nostro e della Tavola Valdese, ha costruito una scuola. Otto bambini invece li ha adottati ed ora vivono con lui al convento perché rimasti orfani a causa della furia distruttrice di Daesh. Anche lui ha portato in salvo manoscritti rarissimi. Viaggiando attraverso l'Iraq in guerra con camion pieni di libri nascosti.
O il premio lo avrei dato ai nostri amici e partner della mezzaluna rossa kurda che, nell'indifferenza generale, hanno costruito 16 piccoli ospedali e girano senza sosta in tutta la Siria del Nord con le loro 50 ambulanze. E arrivano sempre, con aiuti e medicine, dove nessuno mai arriva. Per alcuni sono troppo politicamente schierati, ma questo bel ragionamento andrebbe fatto alle 160.000 persone che curano, e spesso salvano, ogni anno e non da comode scrivanie.
O il premio se lo sarebbero meritato i White Helmets, il corpo di protezione civile siriano creato da un gruppo di giovani laici che operano nelle aree non controllate dal regime. Giovani coraggiosi che arrivano subito dopo ogni bombardamento e scavano tra le macerie per salvare vite umane. E hanno avuto in 3 anni 145 martiri tra i loro volontari. L'ultimo ieri. Pochi giorni fa un giovane uomo di 24 anni, Mahmoud Al Muhammad, che si è precipitato a salvare vite umane dopo un bombardamento del regime di Assad sulla città di Daraa. È morto anche lui sotto le bombe che regolarmente il regime scaglia su ospedali e civili. Mahmoud lascia 3 figli e una moglie. E il ricordo di un giovane uomo coraggioso che credeva sicuramente che la pace si costruisce con opere quotidiane. I White Helmets hanno al momento 2000 volontari che operano ad Aleppo, Idlib, Daraa e qualcuno dice che sono pagati da qualche forza oscura. Noi, avendoli incontrati, sappiamo che sono centinaia di giovani che ogni giorno rischiano la vita per dare un futuro al loro paese. Il gruppo dithesyriacampaign.org racconta meglio di ogni altro articolo di giornale il loro coraggio quotidiano.
Che è poi il coraggio di chi vive sotto le bombe ed è perseguitato in Iraq e in Siria e in tanti altri luoghi del mondo. Dove non è necessario che arrivino i "nostri" o che ci siano istituzioni che concedano pace. La pace si costruisce con gesti quotidiani, con il dialogo e con tanti altri strumenti che hanno le persone che la guerra la subiscono.
Del resto le istituzioni internazionali hanno dato prova di incapacità di fronte al caso siriano. Più di 70 Ong siriane hanno deciso di non lavorare più con le Nazioni Unitenel paese perché continuano a collaborare soprattutto con il regime di Damasco arrivando fino a concedere finanziamenti alla fondazione della moglie di Assad. Alcune Ong internazionali sono state coinvolte in scandali enormi sugli aiuti e l'Fbi sta conducendo indagini per capire dove siano spariti milioni di dollari.
Il tutto sulla pelle dei siriani. Che meriterebbero un premio Nobel per la pace ogni anno finché non finirà questo infame conflitto...
(L'Huffington Post)

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