IRAQ. Le barbarie dell’Isis per frenare la controffensiva su Mosul...




Rapimenti, esecuzioni e gas: così lo Stato Islamico “difende” la sua roccaforte. Baghdad smentisce il Pentagono: nessun accordo con la Turchia. La Russia accusa gli Usa: bombardato un funerale



di Chiara Cruciati   il Manifesto
Roma, 24 ottobre 2016, Nena News – «Nel nostro villaggio, Kalidiya, a sud di Mosul, abbiamo assistito a scontri pesanti tra esercito iracheno e Isis. Ci sono stati molti morti, ci siamo salvati per un soffio». Amar Saad Nadimi ha 20 anni e da tre giorni si trova al campo profughi di Dabaqa, Kurdistan iracheno. Intervistato da Middle East Eye, racconta le divisioni che ruotano intorno alla controffensiva su Mosul: con alcuni amici voleva unirsi all’esercito governativo o ad una delle milizie impegnate nell’operazione sulla città. Ma Baghdad e Erbil non li vogliono: come gli altri sunniti arrivati qui, sono stati perquisiti e interrogati per verificare che non avessero legami con l’Isis.
Il clima è teso: l’altro ieri il capo kurdo della polizia di Kirkuk ha accusato sunniti rifugiati in città di aver aiutato l’Isis ad infiltrarsi e il 30% degli sfollati presenti di sostenere lo Stato IslamicoSu queste divisioni il “califfato” fonda la sua strategia militare e politica già da prima dell’occupazione di un terzo del paese nel 2014. E continua a farlo: l’assalto a Kirkuk ne è la prova. Gli scontri armati sono finiti solo all’alba di ieri, dopo oltre 24 ore e 80 morti, soprattutto membri delle forze di sicurezza.
In città ne sono convinti: l’operazione, inattesa, era volta a distogliere energie e attenzione da Mosul. «In qualche modo – dicono ad al Jazeera dei comandanti peshmerga – la manovra ha avuto successo: alcune delle forze inviate a Kirkuk ieri, che siano peshmerga o iracheni, sono stati richiamati dalla linea del fronte».
Lo squilibrio di forze, in ogni caso, fa preannunciare la prossima caduta di Mosul: 30mila uomini – peshmerga, miliziani sciiti, soldati iracheni – contro 3-6mila miliziani arroccati in città. Per questo, per difendere il più a lungo possibile la roccaforte irachena, lo Stato Islamico dà sfogo alle peggiori barbarie, suo macabro marchio di fabbrica. Due giorni fa l’Onu denunciava il rapimento di circa 550 famiglie da due villaggi alle porte di Mosul, portati via per fare da scudi umani al momento della guerriglia urbana: «C’è un elevato rischio che l’Isis non voglia usarli solo come scudi umani – avverte Zeid Ra’ad al-Hussein, alto commissario Onu ai diritti umani – ma potrebbe preferire ucciderli piuttosto che vederli liberati».
Un timore che sarebbe già realtà: secondo i servizi segreti iracheni, ieri 284 uomini e ragazzi sarebbero stati giustiziati a Mosul e gettati in una fossa comune nell’ex facoltà di Agraria della città. Uomini e adolescenti, uccisi forse per il timore che potessero unirsi alla resistenza anti-Isis, come i migliaia già detenuti in campi di prigionia. E l’Isis usa anche i gas: l’avanzata di iracheni e truppe Usa è stata rallentata ieri dall’incendio appiccato dall’Isis all’impianto di zolfo di Mishraq. Due civili hanno perso la vita, in centinaia sono rimasti intossicati.
Sul piano politico gli Stati Uniti tentano di mettere a tacere le tensioni regionali: il segretario della Difesa Carter l’altro ieri è arrivato a sorpresa a Baghdad. Con il premier al-Abadi ha discusso del ruolo turco, dopo aver annunciato venerdì il raggiungimento di un accordo di principio tra governo iracheno e Ankara. Ma al-Abadi smentisce il Pentagono: il premier ha ribadito l’importanza di avere buone relazioni con Ankara ma anche il no secco alla partecipazione delle truppe turche alla battaglia per Mosul.
Una prospettiva che preoccupa: la politica da neo impero ottomano del presidente Erdogan punta ad un ampliamento virtuale dei confini verso zone considerate naturale prosieguo della leadership turca. Nei fatti, una longa manus che potrebbe tradursi in un controllo più o meno diretto del nord dell’Iraq.

Nello specifico si vocifera che tra i piani di Erdogan ci sia la creazione di una zona cuscinetto sul modello di quella immaginata per il nord della Siria, sia per infilarci i profughi a cui l’Europa chiude le porte che per separare il proprio sud-est (a maggioranza kurda) dalla kurdo-siriana Rojava e dal montuoso nord iracheno dove opera il Pkk. E sul piano internazionale anche l’Iraq entra nello scontro tra Russia e Usa: due giorni fa Mosca ha accusato gli Stati Uniti di aver bombardato un funerale a Daquq, sud di Kirkuk. 17 morti, dice Mosca, scambiati per islamisti...
(Nena News)

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