I trecento di Goro e il loro slogan "prima gli italiani" sono la vergogna di questo Paese...








Non vedo uomini tra i 300 schierati a difesa del loro territorio: una nuvola di case sospese tra la nebbia del delta del Po. Non c'è Leonida a guidarli, non c'è valore nelle loro barricate. Se è per questo, comunque, non c'è neanche quel minimo sindacale di pietà che fin dai tempi di Atene e Sparta sono riservati a donne e bambini. Prima ci si preoccupa di mettere loro al sicuro, poi, gli uomini quelli tipo Leonida e non i leoncini della bassa padana, provvedono a sé.
Ma ieri sera a Goro, anzi a Gorino, 600 anime affastellate lungo la fine del grande fiume, le donne e i bambini (8 donne e 11 bambini) non solo non sono stati protetti ma sono stati cacciati via. Non c'era posto per loro tra quelle 600 anime bianche. Non c'era posto per quelle nere di nigeriani e ivoriani che scappano dalla miseria e si imbarcano in delle tinozze in cerca di una vita migliore.
"Noi qui non vi vogliamo", urlavano 300 (dico trecento!) dei 600 abitanti di questo avamposto di umanità. E sorridevano a favor di telecamere e macchine fotografiche nei loro giubbini firmati e colorati. Che certo: gli italiani hanno fame ma i soldi per i piumini più cool della stagione riescono sempre a metterli insieme. Cosa ridete? Mi chiedo io. Cosa sorridete soddisfatti di quella che considerate una vittoria del vostro diritto ma che in realtà è una delle sconfitte più rivoltanti di cui la storia porterà traccia. Perché certo quei 19 poveracci scappati da chissà dove non verranno a mischiarsi con voi, li hanno spediti (come pacchi postali mal recapitati) a un nuovo indirizzo. E voi potete starvene tranquilli in mezzo alla vostra nebbia, con le vostre cozze, con quell'umidità che ammuffisce le vostre case. Potete restarvene lì: 600 italiani dei quali, da italiana, mi vergogno.
Avete innalzato barricate di bidoni e di bancali per impedire che 19 esseri umani trovassero il rifugio minimo che si concede a chi ha patito un esodo. E dire che a messa ci andate e vi commuovete ogni volta al racconto di Maria che è stata costretta a partorire in una stalla e ad appoggiare suo figlio, appena nato, in quel che restava di una mangiatoia. Bene: sappiate che tra quei 19 esseri umani c'era una donna incinta e voi le avete chiuso in faccia la porta delle vostre case. Esattamente come fecero 2016 anni fa altri prima di voi. E sorridete, fieri di averla spuntata contro un prefetto che aveva disposto, soluzione straordinaria certo, la requisizione temporanea di un ostello in cui far trovare pace e riparo, almeno per un po', a questi poveretti. 
Io vi vorrei guardare negli occhi uno a uno. Sarei curiosa di incontrare in vita mia della gente così cattiva. Sarei curiosa di entrare nelle vostre case per scoprire quella miseria che lamentate e che vi fa dire prima gli italiani. Sarei curiosa di vedervi intenti nel coltivare con convinzione quelle tradizioni che temete di perdere a causa "dell'invasione".
O forse no. Anzi, sicuramente è meglio di no, che non vi incontri mai, perché per vivere ho bisogno di mantenere fiducia nell'umanità e voi 300, che ieri sera avete chiuso la strada che portava al vostro paese e al vostro cuore, me ne avete scippata un bel po'. Perché non ci sono ragioni, no, no e no, per non avere pietà di donne e bambini che non hanno più una casa, che sono in una terra che non conoscono, in mezze a gente che non hanno mai visto e che manifesta nei loro confronti un odio ingiustificato e incomprensibile. Ché non sono loro, quei 19 esuli e nemmeno le migliaia che passano da qui in cerca di pace e fortuna, i responsabili dei vostri, ancora presunti, disagi, della vostra ancor più presunta povertà. Non sono questi disgraziati che vi hanno fatto perdere il posto di lavoro, che hanno fatto chiudere le fabbriche, che hanno aumentato la pressione fiscale. Averli chiusi fuori, avere sorriso vittoriosi di questo triste risultato vi qualifica, a voi 300, come uomini e donne senza cuore e allora meno male che vivete nascosti in mezzo alla nebbia perché non siete per niente un bello spettacolo...
(L'Huffington Post)

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