Al grido di "baba" della piccola siriana, rispondano tutti i papà del mondo...








Un video di intensa drammaticità è stato divulgato on line, diventando virale. Mostra una bambina siriana di nome Aya, di soli otto anni, ferita durante un raid aereo. Piange disperata e grida "baba". Invoca il papà, che era con lei quando una bomba ha colpito la loro casa, nel villaggio di Talbiseh, a nord di Homs. Sul volto della piccola, tra un rivolo di sangue e una ferita sulla fronte, si scorge tutta la disperazione, la paura, l'angoscia di chi, innocente di fronte a Dio e agli uomini, si vede perduta e smarrita senza colui che fino a quel momento l'ha protetta e da cui si sente amata più di qualsiasi altro. Aya viene soccorsa e medicata, ma non sembra neanche accorgersi delle cure ricevute. Non sono quelle ferite a procurale dolore. Non è il sangue che solca il suo viso a spaventarla. L'ansia struggente che la tortura le resta dentro, non se ne va e non si lenisce. Non esiste medicamento per curarla; è più di una ferita, che non può essere per ora rimarginata, ed è troppo presto per dissolversi e costituire solo un brutto ricordo.
Aya continua a non darsi pace, a piangere e a chiamare il padre, del quale non si conosce la sorte. Nei suoi occhi vi è impresso il terrore, lo stesso di tanti bambini le cui esistenze assurgono al ruolo di vittime sacrificali dell'insensata efferatezza delle guerre in atto nel pianeta, proponendo un'immagine terrificante e colma di tensione, emblema di dispute terribili e sanguinarie che non ammettono ragioni. La tragedia siriana rappresenta ormai l'indice più attendibile per qualificare il temibile squilibrio del mondo, l'individualismo perverso delle nazioni, l'indifferenza imperdonabile dell'umanità.
Aya è un simbolo dell'orrore di una guerra senza fine e senza pietà, dove i contendenti perseguono quanto di peggio il male possa esprimere nella sua dimensione di violenza e malvagità. La speranza è che la sofferenza di Aya, in forma di sconvolgente sentimento, possa accogliere tutta la pietà del mondo, aprendo il cuore e la mente di chi si è reso responsabile di atrocità tanto insopportabili, e porti pace e un po' di serenità laddove fino a ora c'è stato solo morte e dolore, scoramento e rassegnazione, tanto nella popolazione adulta che in quella infantile.
Aya racconta, in pochi fotogrammi, il dramma nella sua indescrivibile essenza, andando ben oltre qualunque descrizione, poiché ne rivela la visione inquietante, toccando profondamente l'anima, fino a portarci a uno stato di commozione che infonde tormento. Uno strazio, la tragedia dei bimbi siriani, a cui non possiamo certo abituarci, che non può assolutamente essere giustificato dal desiderio di legittimazione geografica e di conquista di uno stato belligerante, o di un'infervorata organizzazione politica e religiosa. Non vi è nulla di meramente politico nella disumana decisione di attentare all'infanzia di migliaia di bambini, uccidendoli e, nel migliore dei casi, traumatizzandoli irreparabilmente. Men che meno vi è una religione al mondo che contempli un martirio abnorme e così crudele. E non esiste morale per perdonare una simile malvagità, perpetrata a sfregio della dignità degli indifesi e di chi è esente da ogni colpa. Mi piace pensare che al grido di "baba" di Aya, la bimba siriana ferita duramente nell'anima, rispondano, idealmente, tutti i papà del mondo, in special modo quelli d'occidente...
(L'Huffington Post)

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