Foreign fighters italiani: pochi ma pericolosi...




Sarebbero pochi i jihadisti italiani nella guerra siriana, «qualche decina al massimo ma molto pericolosi». Molti meno, in rapporto alla popolazione, di Paesi come il Belgio o la Francia, ma «particolarmente difficili da individuare e fermare», specialmente gli italiani convertiti all’Islam. I casi di Giuliano Delnevo, il primo foreign fighter italiano, morto vicino ad Aleppo nel 2013; diAnas el Abboubi, che si è unito all’Is nel settembre 2013; Maria Giulia Sergio, la convertita che da Inzago, nel Milanese, si è trasferita nel territorio dell’Is; e di Meriam Rehaily, una giovane immigrata di seconda generazione che è partita per la Siria nel luglio 2015.





I ‘Foreig fighters’ italiani sono atipici nel panorama europeo degli jiadisti partiti per Siria e Iraq da tutta l’Ue. Lo sostiene l’International Centre for Counter-Terrorism dell’Aja, che esamina il caso Italia, con un numero “relativamente basso” di foreign fighters rispetto ai 3.900-4.300 partiti -si valuta- dai Paesi dell’Unione europea. A tracciare un ritratto dei nostri connazionali ‘votati alla Jihad’ in Siria, è Francesco Marone, ricercatore dell’Università di Pavia, dove insegna Relazioni Internazionali. Suo lo studio diffuso dalla AdnKronos.
Contrariamente a quanto accade in altri Paesi europei, dove la pressione di amici o parenti o altre dinamiche di gruppo hanno giocato un ruolo nella decisione di dedicare la propria vita al Jihad, in Italia “prevalgono percorsi individuali di radicalizzazione”. Ma trascurare il problema -avverte Marone- potrebbe essere pericoloso, perché l’Italia è un ‘latecomer’, un Paese dove certi fenomeni arrivano dopo rispetto a varie condizioni “direttamente o indirettamente collegate al rischio del jihadismo interno e dei foreign fighters”.
Giuliano Delnevo, il primo jihadista italiano ucciso in Siria

Pochi foreign fighters (uno per ogni milione di abitanti, contro i 41 per milione del Belgio), ma l’Italia è importante Paese di transito per i combattenti stranieri diretti verso Siria e Iraq. E forse, riporta Marone, “base logistica per i militanti islamisti fin dai primi anni Novanta”. Le certezze dell’Olp palestinese e molti sospetti dopo. Quindi, il panorama jihadista italiano “ha ancora dimensioni relativamente ridotte”. E nel microcosmo islamista radicale italiano, la percentuale di convertiti all’Islam viene “sovra rappresentata”, rispetto alla comunità musulmana.
Anas el Abboubi, con Isis nel 2013

Insomma, i convertiti sono pochi. Gli immigrati di seconda generazione, che tanto danno da pensare alle autorità francesi, belghe e britanniche. In Italia, a differenza di altri Paesi occidentali, l’immigrazione musulmana su larga scala è iniziata solo nei tardi anni Ottanta e, la prima ondata dei musulmani di seconda generazione ha raggiunto l’età adulta solo di recente. La comunità musulmana nella Penisola arriva poco oltre il milione e mezzo su 61 milioni di abitanti del Paese. Solo il 2,6%. I convertiti all’Islam sarebbero circa 70mila, il 4% circa della comunità.
Maria Giulia Sergio, da Inzago Milanese, ora in territori Isis

Tra i jihadisti partiti per Siria e Iraq legati all’Italia, 98 secondo una stima della Polizia, solo qualche decina ha passaporto italiano, ma “sono difficili da individuare. I cittadini italiani convertiti destano meno sospetti, dato che l’estremismo islamico nel Paese è ancora associato con gli immigrati. In più, i cittadini italiani non possono essere espulsi”. L’Italia, per contro, “ha fatto largo uso delle espulsioni amministrative di sospetti stranieri senza processo”. Merito nostro o semplice fortuna, “è un fatto che l’Italia, finora, ha evitato attacchi di grande portata sul suo territorio”.
Meriem Rehaily, partita per la Siria nel 2015

Marone ricostruisce poi nel dettaglio la storia di quattro persone che hanno lasciato l’Italia per andare in Siria, foreign fighters e muhajirin, emigranti in lingua arabo, in genere le donne. Il genovese Giuliano Delnevo, il primo foreign fighter italiano, morto vicino ad Aleppo nel 2013. Anas el Abboubi, che si è unito all’Is nel settembre 2013; Maria Giulia Sergio, la convertita che da Inzago, nel Milanese, si è trasferita nel territorio dell’Is, e Meriam Rehaily, una giovane immigrata di seconda generazione che è partita per la Siria nel luglio 2015.
Le storie dei quattro jihadisti italiani mostrano che “i loro percorsi di radicalizzazione non è avvenuto in ambienti ‘tradizionali’, come moschee radicali o prigioni”. Un ruolo importante lo ha avuto come sempre il Web: Maria Giulia Sergio ha raccontato che alla sua conversione hanno contribuito i video su YouTube di Yusuf Estes, un predicatore del Texas convertito all’Islam. Rispetto ad altri Paesi l’Italia gode ancora di una situazione relativamente favorevole, anche se non c’è garanzia che duri per sempre, col problema di integrazione per le nuove generazioni musulmane...
(RemoContro)

Commenti

AIUTIAMO I BAMBINI DELLA SCUOLA DI AL HIKMA

Post più popolari

facebook