«Cappuccio in testa e sms in arabo» Quando Meriem ha scelto la jihad...




Le amiche e la prof della 20enne fuggita in Siria. «Ci ridevamo su ma non scherzava»




Oggi è un soldato con il volto da ragazzina. Le ultime notizie la danno sotto le bombe di Raqqa, in Siria, vicina alla brigata «Al Khansaa», il gruppo composto esclusivamente da combattenti donna che ha il compito di far rispettare la sharia tra le concittadine. A costo di torturarle, se fumano una sigaretta o indossano un velo troppo corto.
Ma Meriem Rehaily — la foreign fighter ricercata dalla Procura antiterrorismo di Venezia — ha trascorso un’adolescenza «normale» ad Arzegrande, provincia di Padova, dove ora mamma e papà si disperano e ripetono che la loro era una brava figliola e di certo è stata plagiata dai reclutatori dell’Isis. Ma è proprio dietro quella quotidianità fatta di uscite con le amiche e spritz in centro, che è maturata l’idea di fuggire di casa, il 14 luglio dello scorso anno, e arruolarsi nelle fila del Califfato.

All’epoca, Meriem frequenta ancora l’istituto tecnico di Piove di Sacco. Ed è un’insegnante ad accorgersi che c’è qualcosa di inquietante in quella studentessa. La conferma le arriva da due temi (subito consegnati ai carabinieri) nei quali la ragazza scrive frasi come: «L’Islam prenderà il potere (che quasi ci siamo) saremo in grado di distruggere queste organizzazioni, che sono i veri nemici dell’Islam».
La professoressa di Lettere convoca l’allieva. Ai carabinieri del Ros di Padova, racconterà: «Meriem mi confidava il suo interesse per l’integralismo islamico, al quale nessuno l’aveva instradata. E di aver coltivato da autodidatta l’interesse per l’informatica». Da mesi la studentessa si è costruita una seconda identità virtuale. Su Twitter si fa chiamare «Rim l’italiana» e con l’account «Technicalisis» fa propaganda per i terroristi. Ma Anonimous, la rete di pirati informatici, l’ha messa nel mirino.
«Mi chiese se avessi mai sentito parlare di “Rim”, e mi rivelò che era lei stessa: un’hacker ricercata da Anonyimous». Era spaventata a morte. «Mi chiese di diffondere un messaggio ai suoi compagni di classe perché temeva di essere presto arrestata e voleva che dicessi a tutti che lei ce l’aveva solo con gli americani e non con gli italiani».
Alla prof di cui si fida, Meriem racconta anche lo choc che l’ha spinta a sposare la causa dell’Isis. L’insegnante la definisce «una spinta emozionale nata dall’aver visto sul web dei video in cui soldati americani usavano violenza sessuale nei confronti di donne musulmane. Mi diceva che non riusciva più a vivere normalmente ora che sapeva cosa accadeva nel mondo».
All’incontro, la studentessa si presenta in compagnia di una compagna di classe. «Meriem spiegava di non aver fatto nulla di male — ha raccontato l’amica ai carabinieri — ma la professoressa le ricordava che il terrorismo non era soltanto mettere le bombe ma anche supportare con attività di propaganda. Le disse anche che voleva aiutarla…».
Niente da fare: la studentessa ha troppa paura di finire nei guai e alla compagna manda un messaggio sul telefonino: «Spero di finire quest’anno, dopo sparisco. Non ho altra soluzione che andare lì». In Siria. Anche le amiche sono preoccupate. Dai verbali dell’inchiesta emerge il baratro nel quale la studentessa sta precipitando. «Ho notato dei cambiamenti in lei: nell’ultimo anno. Meriem era sempre con il telefono in mano e scriveva in arabo a degli uomini. Lei ne aveva proprio bisogno, sembrava non potesse evitarlo. I professori l’hanno spesso richiamata (...) e quando succedeva, davanti a loro fingeva di essere accondiscendente ma poi, quando rimanevamo solo tra studenti, diceva che l’Isis faceva bene a fare quelle azioni terroristiche».
Nella sua mente, il piano sta maturando. «Diceva che aveva contatti con persone in Siria e avrebbe dovuto raggiungere quello Stato per sposarsi con un ragazzo che combatteva lì. Sarebbe partita, si sarebbe sposata e avrebbe combattuto...». All’inizio le amiche non ci danno troppo peso «perché spesso Meriem raccontava cavolate. Nessuno credeva a queste cose che diceva, noi ci ridevamo sopra...». Quando capiscono che è tutto vero, è troppo tardi. Sui telefonini delle compagne invia immagini di prigionieri decapitati e frasi come: «Non vedo l’ora di piegare uno e togliergli la testa».
«Una volta mi ha mostrato un video che aveva girato nella sua camera da letto, in cui lei si era travisata il viso con un cappuccio»
I messaggi successivi, le sua amiche li riceveranno quando è già in Siria: «Se mi chiamate terrorista, ne vado fiera!». L’ultima chiamata arriva a fine ottobre del 2015. Meriem sta piangendo. «Siamo sotto le bombe...»...
(Corriere della Sera Esteri)

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