Gaza, i Dam: «I palestinesi fanno resistenza, non terrorismo»...



Tel Aviv è «criminale». Hamas «sbaglia metodi». La pace a Gaza? «Impossibile». I rapper palestinesi Dam sul conflitto.

L'INTERVISTA
di Maria Elena Tanca

Una parola, per salutare. «Salam». Che in arabo significa «pace». E assume un senso ancora più carico di speranza nei giorni in cui la Striscia di Gaza è infiammata da una spirale di violenza senza fine.
Mahmoud Jreri parla da Lod, città israeliana in cui vive con gli altri membri della crew di rapper palestinesi cui fa parte.
Pionieri del genere in arabo, si chiamano Dam. Il loro esordio musicale risale al lontano 1990: guardando un video di Tupac, rimasero colpiti da quanto la realtà mostrata in quelle immagini ricalcasse quella del loro quartiere, a Lod.
«GLI USA SONO COMPLICI». Da allora Tamer, Suhell e Mahmoud hanno deciso di usare la musica per raccontare il conflitto israelo-palestinese. Per denunciare l'atteggiamento dell'Occidente, Usa in primis: «Stanno aiutando Tel Aviv a uccidere delle persone, dei bambini». E per manifestare al mondo le proprie speranze («Che il nostro popolo non senta bombe ogni notte, che sia libero») e le proprie preoccupazioni («Di questo passo non porteranno a termine il processo di pace in Medio Oriente»).
  • Mahmoud, Tamer, Suhell: i tre membri dei Dam.
DOMANDA. Gaza sta subendo una serie di sanguinosi attacchi. Cosa pensi del casus belli che ha scatenato questa guerra?
RISPOSTA. Israele ha incolpato Hamas per i tre ragazzi rapiti, ma Hamas non si è presa la responsabilità del rapimento e sostiene di non esserne l’artefice. Israele ha inventato una storia e ha fatto in modo che il mondo ci credesse. L’ha usata come scusa per scatenare una guerra contro Gaza. Israele non ha bisogno di un motivo vero per muovere guerra a Gaza: le basta un pretesto.
D. Qual è la situazione a Gaza?
R. Gaza è sotto assedio da ormai più di sette anni. Quando parlo di assedio, voglio dire che l’elettricità viene fornita due o tre volte la settimana, non c’è una scorta sufficiente d’acqua, i beni non possono entrare, né uscire, e nemmeno le persone. I palestinesi sono sotto occupazione. È una tragedia che colpisce 1 milione e mezzo di abitanti.
D. Avete scritto una canzone Who’s the terrorist, diventata molto popolare. Cosa ne pensate di Hamas?
R. Voglio esser chiaro: non sono d’accordo con l’ideologia di Hamas, ma penso che sia stata eletta attraverso elezioni democratiche. Il mondo non voleva che stesse al potere e questo è il motivo per cui Gaza è sotto assedio. Hamas è stata eletta dai palestinesi: questo deve essere rispettato. Ma nessuno ha rispettato la democrazia, nessuno ha rispettato le elezioni del 2006.
D. E i palestinesi come considerano Hamas?
R. Alla fine Hamas è parte della popolazione palestinese e i palestinesi vedono i suoi membri come impegnati nella resistenza: resistenza per la libertà e per le persone che chiedono al mondo di porre fine all’assedio su Gaza e di restituire ai palestinesi la loro libertà.
D. Eppure Israele e l’Occidente reputano Hamas un’organizzazione terroristica.
R. Posso non essere d’accordo con i metodi di Hamas, ma le cose stanno così: per alcune persone sono terroristi, per altre sono combattenti per la libertà. Anche dei membri di al Fatah si diceva che erano terroristi. Tutti quelli che rappresentano i palesteniesi e che hanno combattuto per la libertà del popolo palestinese sono stati chiamati terroristi. Io penso che non lo siano.
D. In I don’t have freedom usate parole molto dure contro gli Usa, li accusate esplicitamente. Qual è l’origine di questi versi?
R. Nascono dalla rabbia, nel corso della Seconda Intifada. Questa canzone fu inoltre influenzata dal film Arna’s children, di Juliano Mer Khamis, che parla dei bambini del campo profughi di Jenin. Il regista li filmò da piccoli e li rifilmò dopo la Seconda Intifada, quando, ormai cresciuti, erano diventati combattenti della resistenza. Abbiamo preso alcune frasi che i bambini cantavano nel film e abbiamo scritto I don’t have freedom.
D. E la rabbia contro gli Usa? Da dove viene?
R. Noi incolpiamo gli Usa perché stanno giocando un ruolo molto chiaro, non tutelando i diritti umani: ogni volta che qualcuno cerca di portare Israele in tribunale per crimini di guerra, gli Stati Uniti si schierano contro. Inoltre, finanziano Israele e il suo esercito, regalano o vendono armi a Israele. E quelle armi ci stanno uccidendo. Quelle armi ci stanno uccidendo da molto, molto tempo: ci hanno ucciso nella Prima Intifada, nella Seconda e nella guerra in corso in questi giorni a Gaza. Tutto questo deve finire.
D. Insomma, gli Stati Uniti sono corresponsabili della tragedia palestinese?
R. Di fatto stanno ammazzando delle persone in Palestina, stanno aiutando a uccidere quei bambini. Anche il ruolo che svolgono nel processo di pace non è obiettivo, è unilaterale: questo è il motivo per cui non riusciranno mai a portare a termine il processo di pace in Medio Oriente.
D. Ce l’avete più con gli Usa o con Israele per quel che è accaduto al vostro popolo?
R. La nostra lotta per la libertà è contro Israele e non contro gli Usa. Ma gli Usa appoggiano quest’occupazione, supportano le guerre che Israele combatte e i crimini di guerra contro i bambini. Noi ce l’abbiamo con entrambi, ma non incolpiamo solo questi due Paesi.
D. E chi altri?
R. Dietro la tragedia palestinese ci sono molte mani. Anche l’Europa è coinvolta in questa tragedia, il Regno Unito, per aver dato la nostra terra a un altro popolo, facendo così iniziare queste guerre fin dal 1948.


D. Cosa desideri per il tuo popolo dopo questa guerra?
R. Prima di tutto desidero che il mio popolo viva in pace, che sia al sicuro. Desidero che il mio popolo non senta bombe ogni notte e che non scopra i propri figli uccisi o la propria famiglia spazzata via dalla macchina da guerra israeliana. Spero anche che ottenga la libertà, un Paese in cui vivere. Mi auguro che sia libero e non più costretto a vivere sotto occupazione. E poi desidero che il mondo si svegli e sostenga il popolo palestinese nella lotta per la libertà.
D. Siete stati il primo gruppo hip hop palestinese. Cosa vi ha ispirato?
R. Abbiamo iniziato a fare rap nel 1999. Quel che ci ha ispirato dell’hip hop sono i testi delle canzoni, il messaggio che «loro» trasmettevano. Quando dico «loro» mi riferisco agli artisti hip hop afro-americani, che trattavano temi sociali e politici. E questo è qualcosa con cui mi sono sentito molto in sintonia, qualcosa con cui mi sono identificato.
D. E poi?
R. Poi ho iniziato a scrivere poesie e, con i Dam, abbiamo cercato di creare rime sopra un beat. Questo è come tutto ha avuto inizio. Insomma, il primo contatto è avvenuto attraverso le immagini che arrivavano dagli artisti hip hop afro-americani.
D. Dam in arabo significa «eternità», in ebraico «sangue». Un caso?
R. Ci siamo inventati quel nome sei anni fa e non quando abbiamo iniziato. Agli esordi ci chiamavamo semplicemente Da Arabian Mc’s. Poi abbiamo scoperto il significato della parola in arabo e in ebraico. Mettendo tutto insieme, il nostro nome vuol dire «non importa quanto sangue sarà versato, gli Mc’s arabi saranno eterni», come la musica, le persone e l’arte.
D. Quali sono le principali caratteristiche dell’hip hop arabo?
R. Se parliamo dei Dam, la nostra musica è diversa da qualsiasi altro hip hop. Questo perché usiamo sia parole arabe, della cultura da cui proveniamo, sia parole occidentali, della cultura da cui siamo influenzati. Quando ascolti i nostri album, ascolti anche la cultura e gli strumenti arabi. La nostra musica non è qualcosa che copiamo e incolliamo dall’hip hop occidentale.
D. E in generale?
R. Quanto all’hip hop arabo in generale, se ascolti l’hip hop algerino o marocchino ci sono differenze tra i due, così come esistono differenze tra l’hip hop palestinese e quello libanese. E non potrebbe essere altrimenti, perché là è Nord Africa, qui Medio Oriente. Noi usiamo i suoni in modo diverso e li utilizziamo diversamente nei beat.
D. Nelle vostre canzoni parlate di politica e chiedete libertà e giustizia per il vostro popolo. Ricevete pressioni per smettere?
R. Abbiamo avuto problemi con la polizia qui nella nostra città, a Lod, perché siamo anche attivisti.
D. Che genere di problemi?
R. Siamo molto attivi nel nostro quartiere e a volte la polizia viene da noi e dice: «Abbiamo molte vostre foto, ragazzi. Vi potremmo mandare in galera». Inoltre, spesso accade che all’improvviso, durante un nostro spettacolo, manchi l’audio. Guardiamo il tecnico del suono e vediamo accanto a lui un poliziotto.
D. Aggressioni?
R. Una volta hanno aggredito Suhell. L’hanno attaccato con violenza. Questo è ciò che dobbiamo affrontare tutti i giorni. Siamo davanti a un regime estremamente razzista. Non ci sorprende che cerchino di fermarci o aggredirci.
D. Le radio israeliane trasmettono le vostre canzoni?
R. No, non sentirai le nostre canzoni sulle radio israeliane perché siamo boicottati dalle radio e in generale dai media israeliani.
D. Avete rapporti con i rapper israeliani?
R. All’inizio della carriera abbiamo registrato canzoni con artisti hip hop israeliani, ma ora non accade più.
D. Come mai?
R. Non so perché, non so quale sia la ragione. Forse all’epoca eravamo molto giovani e volevamo fare musica con persone che, a loro volta, volevano fare musica; senza alcun legame con la politica. Sfortunatamente, il modo in cui vanno le cose in Israele sotto il governo della destra ha cambiato tutto.
D. Cioè?
R. Anche gli artisti stanno diventando sostenitori della destra: supportano l’esercito e i soldati che vanno in guerra a uccidere persone e questa è una cosa alla quale noi siamo contrari. Siamo contrari a fare arte con questo genere di musicisti.
D. Com’è stata recepita la vostra musica dai palestinesi?
R. All’inizio, nel 1999-2001, è stato forse scioccante per loro: era la prima volta che ascoltavano hip hop e per giunta in arabo. Ma si sentivano molto in sintonia con il messaggio trasmesso. Quel che dicevamo e gli argomenti di cui parlavamo piacevano.
D. E ora?
R. Oggigiorno troverai persone che fanno rap in ogni città e paese arabo della Palestina. Il movimento continua a crescere, perché questo genere di musica parla delle persone e della realtà.
Mercoledì, 30 Luglio 2014
(Lettera 43)

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