Conflitto Israele-Palestina: perché non viene sferrato l'attacco definitivo contro Hamas?...





Di Stefano Consiglio

La drammaticità del conflitto combattuto tra Palestina e Israele è sotto gli occhi di tutti. Gli attacchi portati dall'esercito israeliano contro la Striscia di Gaza hanno causato la morte, secondo gli ultimi bilanci, di 605 palestinesi, tra cui 121 bambini, a cui si devono aggiungere 3.700 feriti e migliaia di sfollati che stanno trovando rifugio presso le strutture messe a disposizione dalle Nazioni Unite


Questa guerra, che va avanti ormai da ben quindici giorni, è caratterizzata da un'enorme disparità nel potenziale bellico dei due schieramenti. Mentre i palestinesi combattono essenzialmente utilizzando razzi d'artiglieria; l'esercito israeliano è dotato di un'incredibile quantità di droni, di circa 1.200 velivoli a disposizione dell'aeronautica militare, 150 testate nucleari, numerose navi da combattimento e pattugliatori, oltre al sistema Iron Dome per la difesa delle sue città. Se ciò non dovesse bastare le forze armate israeliane sono composte da 186 mila e 500 effettivi, che possono aumentare esponenzialmente tramite la mobilitazione di 445 mila riservisti.


Le forze armate israeliane, in poche parole, sono tra gli eserciti meglio addestrati al mondo, dotate di armi all'avanguardia e ingenti risorse finanziarie. Il loro avversario, in confronto, non può nemmeno aspirare alla qualifica di esercito trattandosi, infatti, di circa 25 mila guerriglieri. Per quale motivo, dunque, le truppe israeliane non ha ancora sferrato un attacco definitivo contro Hamas?
Una possibile risposta a tale quesito è stata fornita da Efraim Halevy, capo del Mossad tra il 1998 e il 2002. Una prima motivazione, che induce il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a non lanciare un massiccio attacco contro Hamas, è la possibile reazione della comunità internazionale. Finora, infatti, sebbene vi sia una diffusa indignazione rispetto a quanto sta accadendo in Palestina, i leader dei Paesi occidentali non hanno in alcun modo revocato il supporto garantito ad Israele. Anche l'Egitto, tradizionalmente vicino ad Hamas, basti pensare che furono proprio i Fratelli Musulmani a creare quest'organizzazione, ha tentato di negoziare un cessate il fuoco che, sfortunatamente, ha tenuto per appena sei ore. Un eventuale attacco massiccio contro Hamas, che causerebbe senza dubbio numerose vittime tra la popolazione civile, potrebbe modificare l'attuale status quo, inducendo Governi e opinione pubblica a puntare il dito contro Israele.


Sebbene importante l'eventuale perdita di popolarità da parte di Israele, non sarebbe la prima motivazione che spinge Netanyahu a trattenere i suoi uomini. Secondo l'ex capo del Mossad, infatti, il Primo ministro israeliano teme che la distruzione di Hamas non farebbe altro che offrire un'ottima opportunità agli altri gruppi che direttamente o indirettamente operano nella regione. Tra questi vi sono anche i miliziani dell'ISIS, ascesi agli onori della cronaca a seguito della conquista delle regioni settentrionali dell'Iraq dove, il 29 giugno scorso, hanno creato un califfato islamico. Efraim Halevy è stato chiaro nel sostenere che: "Hamas è sicuramente un pessimo interlocutore ma attorno c'è molto di peggio. Mi sto riferendo ai movimenti jihadisti che stanno sconvolgendo tutto il vicino mondo islamico. Già sappiamo cosa potrebbero fare alcuni di loro. Soprattutto uno di loro, l'ISIS, che ha già i suoi tentacoli nella Striscia di Gaza".
Che cosa farà, dunque, nei prossimi giorni Netanyahu per evitare la distruzione di Hamas garantendo al contempo la sicurezza di Israele?
Anche a questa domanda è stata data una possibile risposta da parte dell'ex capo dei servizi segreti israeliani. Secondo Halevy, Netanyahu continuerà a lanciare raid contro la Striscia di Gaza, congiuntamente a limitati attacchi via terra, atti soprattutto a colpire le basi operative di Hamas. Una vera e propria guerra di logoramento il cui scopo è quello di indurre i miliziani palestinesi ad accettare un cessare il fuoco, causando contestualmente una diminuzione della capacità offensiva di Hamas e, in tal modo, garantendo per un periodo più o meno breve la sicurezza delle città israeliane. La strategia del Premier israeliano è certamente condizionata dal fatto che il partito a cui egli appartiene, il Likud, è al governo insieme ai più radicali partiti dell'estrema destra israeliana. Netanyahu è stato accusato più volte di codardia dai politici israeliani, i quali vorrebbero un intervento massiccio dell'esercito contro Hamas. Il Primo ministro di Israele si sta dunque muovendo tra due forze: una che lo spinge verso la distruzione totale dei guerriglieri palestinesi, l'altra che lo induce alla prudenza, onde evitare il consolidamento in Palestina di gruppi islamici ancora più pericolosi di Hamas.

(International Business Times)

Commenti

AIUTIAMO I BAMBINI DELLA SCUOLA DI AL HIKMA

Post più popolari

facebook